L'abile pistolero Ringo viene ingaggiato da uno sceriffo, in cambio di una lauta ricompensa, perché recuperi il bottino nascosto in una fattoria, dove i banditi si sono rifugiati.
Diretto da: Duccio Tessari
Genere: western
Durata: 98'
Con: Montgomery Wood (Giuliano Gemma), Fernando Sancho
Paese: SPA, ITA
Anno: 1964
“Ehi, arriva gente! – Meno male, avremo compagnia per Natale!”. Ma sfortunatamente per gli ingenui braccianti del ranch, gli “ospiti” sono dei banditi in fuga verso il confine messicano dopo una rapina non finita esattamente secondo i piani, col capo, il lercio Sancho (Fernando Sancho) dai folti mustacchi, rimasto ferito.
E non tanto fortunatamente per i banditi, il ranch è quello della fidanzata dello sceriffo, Ruby (Hally Hammond, alias Lorella De Luca).
La soluzione dei cattivi: uccidere due persone al giorno fin quando non saranno lasciati liberi di completare la ritirata.
La soluzione dei buoni: aspettare l’arrivo della cavalleria. Ma c’è una persona che può fa saltare i piani di entrambe: si tratta di Ringo “faccia d’angelo” (Montgomery Wood, alias Giuliano Gemma), pistolero dal polpastrello veloce e dal grilletto facile, puntualmente in prigione, puntualmente fuori per legittima difesa.
I buoni vogliono mandarlo a stanare i cattivi, i cattivi se lo ritrovano inaspettato alleato in un piano di fuga attraverso il canyon. Le ragioni del cambio di fronte? Le stesse che gli avevano fatto accettare la missione: un pugno di dollari. E Per un pugno di dollari (1964) era stato tra le più recenti fatiche del regista Duccio Tessari, prima di Una pistola per Ringo del 1965.
Naturalmente, non dietro la macchina da presa – lì c’era Sergio Leone: ma la parte del leone, Tessari, l’aveva comunque fatta scrivendo a quattro mani la sceneggiatura.
Nel 1960, stesso ruolo, stesso partner, ma genere diverso: Il colosso di Rodi. Con un altro Sergio, Corbucci, aveva invece scritto nel 1961 Romolo e Remo, da un soggetto di Luciano Martino ed ancora Sergio Leone, tutti insieme appassionatamente con Ennio De Concini e Franco Rossetti. Abituato, dunque, ai fustacchioni dei peplum e agli stranieri senza nome dello spaghetti western, Tessari confeziona una storia su misura per tutt’altro personaggio.
Il Ringo interpretato da Giuliano Gemma beve il latte, anziché il whiskey; gioca a campana coi ragazzetti del villaggio, salvo concedersi un break per ammazzare al volo la banda dei Benson che lo voleva morto; è sbarbato e curato d’aspetto, con tanto di elegante panciotto, per quanto abbia l’abitudine di forare le pance altrui. Soprattutto, poi, rispetto alla laconicità eastwoodiana, ha la lingua veloce almeno quanto la pistola.
Una lingua, dunque, funzionale ad un western all’italiana con tratti di slapstick comedy, più ironia che ironmen, in cui per tutta la parte centrale si mercanteggia, si tratta, ci si trastulla tra scaramucce e diplomazia.
Così, Ringo dichiara senza mezzi termini con battute taglienti il proprio pedigree da pistolero infedele, pur di alzare la posta delle ricompense: “ecco, vedi: queste sono parole che hanno un significato” spara faccia d’angelo, quando nell’ufficio dello sceriffo si parla di “un mucchio di soldi” per il lavoretto al ranch; “ho fatto l’artificiere quando ero nell’esercito. Del nord. Cioè, prima del sud, ma poi il sud perdeva, e allora…”, dice poi ai banditi, proponendosi come dinamitardo.
Deve essere verboso, per declamare il proprio vangelo da strapazzo, col Verbo che recita testualmente versetti come “Dio creò tutti gli uomini uguali, la colt li fece diversi”, oppure “Gesù era un uomo disarmato.
Una buona colt, ecco quello che gli serviva perché”. Singolare che la cornice del film sia “natalizia”, con tanto di albero di Natale e cenone della vigilia, e persino accusa a Ringo di essere un “Giuda”.
Ben lontano, comunque, dall’essere un fariseo, faccia d’angelo se la caverebbe benissimo anche senza la benedizione della colt, rapido di pensiero ed avvocatizio nella dialettica: come nella scazzottata con Pedro (Josè Manuel Martìn), a difesa dell’onore della giovane ranchera.
Una summa “gemmiana” di versatile e malandrino eroismo western: prima trae in salvo la ragazza, scampata ad una violenza carnale ed ancora in desabille, coprendole le spalle nude col proprio mantello; poi fa a pugni e calci col rivale messicano, con agili contorsioni da gladiatore; infine trova il modo di farlo secco, inducendolo ad usare un’ascia per poter avere la scusa di passare ad un attacco letale “per legittima difesa” e non suscitare la vendetta della ban.
Cionondimeno, la lunga predicazione sulla colt racchiude il senso ultimo del film, compreso il titolo: per quanto abile a difendersi con le parole, Ringo viene sempre disarmato, dai banditi così come dagli sceriffi, fin quando, poco prima dello scontro cruciale, non si produce in un’ironica invocazione: “una pistola.
La mia vita per una pistola! Deve già averlo detto qualcuno”. “Shakespeare!”, gli risponde il maggiore Clyde (Antonio Casas), suocero dello sceriffo, ferito da un coltello. Poco importa che fosse “il mio regno per un cavallo”: d’altronde, non è né tragedia inglese né epica americana.
Al più c’è un pizzico di farsa italiana. Doppiogiochista, ma d’onore – per quanto espressioni come “è una questione di principio” o “è una questione d’onore”, che riecheggiano lungo tutto il film, suonino canzonatorie – Ringo/Gemma è circondato da valenti comprimari.
Spicca la bellezza latina di Nieves Navarro nei panni della donna del sozzo malvivente, affascinata dai modi gentili del maggiore gentleman: una bruna perfetta, ma invero non per un uomo, quanto per far coppia attoriale con l’altra donna, la castana chiara RubyLorella De Luca, figlia del maggiore, con cui avrà a beccarsi. Due gemme in un cast in cui Giuliano, per quanto nei panni del solitario, è ben accompagnato. Musiche di Ennio Morricone.