Jeanne è il capitolo numero due, dopo Jeannette l’enfance de Jeanne d’Arc, Bruno Dumont prosegue caparbio, rigoroso, gelido, talvolta magnificamente pedante la sua analisi storico-poetica su Giovanna d’Arco, puntualmente trasfigurata da Lise Leplat Prudhomme, vero e proprio miracolo di casting, così come tutto il resto degli attori, perfettamente in parte. L’esperienza cinematografica di Jeanne è di livello altissimo, non è riferita ad un pubblico ampio, bensì a quei pochi che saranno disposti ad accettare il gioco stilistico del regista francese, tra lo stilizzato e il documentaristico.
Si tratta di un cinema purista, purissimo, dalla concezione immaginifica gelida, dove il singolo gesto all’interno del quadro vale come una tempesta in un lago ghiacciato. Dumont utilizza i quadri visivi e le lente carrellate in modo tale da descrivere un impianto visivo che si espanda nel tempo e nel luogo. Il francese usato nei dialoghi risalta brillante, in una lingua compatta e estroflessa, dinamica, al limite col mistero della dizione introversa, i volti sembrano scavati all’interno di un limbo figurativo che rimane impassibile e materico anche dopo la visione.
Questo cinema così fuori dal mercato e dalle più consuete visioni, si configura come un’opera poetica che è rivolta verso il futuro e pensata per un passato che ancora viene interrogato. Dumont usa la mdp come un telaio vergine, dove vengono lasciati i segni indelebili di un passaggio della Storia che forse non si riuscirà mai a comprendere del tutto. Grande cinema. Più difficile e impegnativo rispetto al musical di Jeannette, Jeanne richiede più tempo e maggiore abnegazione per essere capito e apprezzato.