Proprio quello che è abituato a fare un regista posticcio come Vintenberg. Se Happiness appartiene alla categoria della commedia in maniera quasi classica, Storytellin’ tenta una forma più sperimentale di decostruzione dei rapporti di forza attraverso la sottrazione e il diniego (e il risultato è il più debole dei tre film, ma non del tutto privo di fascino, anche perchè un cinema indipendente a Hollywood, neanche Jarmusch si azzarda a girare film così sconnesi e “deformanti”), Palindromes raggiunge il capolavoro. Palindromes è un’opera spiraliforme e ineffabile che guarda in faccia l’orrore, rappresentandolo rivelandone il lato più mistico e ironico. La prova concessa in quest’opera conferma quello che Happiness aveva solo accennato: per Solondz il male nel lmondo si dispiega attraverso una arbitraria concezione di impulsi e casualità incoerenti e folli.
Il mosaico risultante deforma in parte un quadro pregno di segni in cui il significato si nasconde dentro volti monchi e inaddati alla vita che tuttavia cercano dalla vita delle risposte. L’esatto contrario di quello che accade in “Festen” di Vinterberg, in cui l’incubo della rappresentazione sociale è già inserito in un contesto borghese dominato da riti e scandali sottotraccia, ma in maniera del tutto programmatica, solo per il gusto di far colpo sullo spettatore con l’arroganza di un cinema che presume di sapere sempre qualcosa in più dello spettatore, così da manipolarlo e raggirarlo a piacimento.