George è un giovane medico americano con una moglie, Susan, gravemente malata. Quest'ultima muore e lascia al George una cospicua somma in eredità. Capitato per caso in un night club, ha l'impressione che una delle spogliarelliste somigli a Susan.
Diretto da: Lucio Fulci
Genere: thriller
Durata: 97'
Con: Jean Sorel, Marisa Meli
Paese: ITA
Anno: 1969
Visse due volte il film Una sull’altra di Lucio Fulci: una in versione integrale, l’altra in versione censurata. In realtà, in quest’ultima modalità morì, com’è normale che sia per un thriller dalle forti tinte erotiche che venga inibito dalla censura: “uno spettacolo osceno”, fu definito Perversion story (questo il titolo originale), sottoposto a sequestro nel settembre del’ 69, a quasi un anno dall’uscita (dicembre ’68) col divieto ai minori di diciotto anni.
Oggi diremmo “tanto rumore per nulla”, considerando tiepide le scene un tempo caldissime, o comunque più seducenti che scandalose, immerse in penombre colorate, tutte sensazioni di leggera follia cromatica: vedasi l’amplesso lesbo, appena accennato, tra la Elsa Martinelli e Marisa Mell, con un felpato contrabbasso nel soundtrack di Riz Ortolani, un interminabile gioco di sguardi e trasparenze, le luci a volte abbacinanti dello studio fotografico, il vestito di pelle nera della fotografa che si mimetizza nell’ombra (“posso spegnere le luci?”), il tappeto di pelliccia bianca su cui si adagia la Mell, di cui pare potersi avvertire, nell’atmosfera vellutata, la consistenza tattile del soffice.
“QUALE PARTE LE HANNO TAGLIATO? – LA MIGLIORE!” – Dal 2006 del film è disponibile una versione senza tagli in dvd. Certo, epurato delle nudità, il film perderebbe parte di quella morbosità che anticipa le successive traiettorie del regista romano, nonché di tanto thriller erotico a venire di lì a poco, già in rampa di lancio con Orgasmo di Umberto Lenzi (1969) e prima ancora Il dolce corpo di Deborah (1968) di Romolo Guerrieri.
In altre parole, il film sarebbe privato di quell’aura made in Italy che segna, tra l’altro, la distanza rispetto all’omologo più citato, La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock, noto anche come Vertigo. Citazione, beninteso, tutt’altro che indebita, considerando l’espediente centrale del soggetto, ossia quello di una donna creduta morta che pare riapparire – o forse è solo una sosia – ponendosi al centro di un intrigo.
Sembrava infatti stramorta, Susan Dumurrier (Marisa Mell), moglie d’un medico distratto, George (Jean Sorel), più attento alla propria clinica che agli attacchi d’asma della consorte. Più attento, soprattutto, all’amante, Jane (Elsa Martinelli).
Consapevole del rapporto logorato con la coniuge, George è il primo a sorprendersi dell’assicurazione sulla vita stipulata a suo vantaggio, che ne fa un ricco ereditiero. Per la polizia, poi, il tutto puzza di bruciato. La situazione deflagra quando compare una spogliarellista identica a Susan, tale Monica Wenston: che sia stata complice di una macchinazione?
NUDI E CRUDI – Ambientato a San Francisco, e realmente girato in città (alcune riprese sono nel carcere di San Quintino), il film sembra essudare un disinibito clima di libertà sessuale in salsa pop. Il design di certi ambienti sembra far pensare allo scultore Allen Jones come ideale arredatore, mentre il kitsch non è lesinato né nelle scene ambientate nello studio fotografico di Jane (una modella di colore è invitata a pose lascive, con appariscenti accessori d’abbigliamento, quali libellule o farfalle finte sulle parti erogene), né in quelle del night club, con un’indimenticabile Marisa Mell che si sfila una divisa leopardata con guanti di pelle neri, su di una moto dorata, prima di vestire poco altro che la propria pelle e qualche adesivo.
È dunque un Fulci d’eccitazione epidermica, a suo agio nel proprio tempo, ma già incline a muoversi sul crinale del raccapriccio, oltre che del capriccio. Le allusive espressioni dell’assistente della fotografa, mentre allestisce il servizio, rimandano infatti ad un erotismo macabro, un piacere di scoprire l’orrendo: “piacere ed orrore, cara”; “il nudo non basta, dev’essere disgustoso”. Ed un nudo disgustoso lo si vede davvero: all’atto del riconoscimento del cadavere di Susan Dumurrier in obitorio, dopo settimane dal ritrovamento, compare un corpo semi-putrefatto (per l’epoca dovette essere uno shock), che tuttavia non si può far a meno di associare alle esplosive nudità a cui per tutto il film le carni vengono esposte. Una sensualità perduta, o la sottile sensualità della terribilità: un profumo di dama in nero, che inebria tra decadenza ed opulenza.
A TOUCH OF EVIL – Ecco, dunque, il tocco pienamente fulciano: innestato, lo si deve dire, su di un intreccio a tratti leggermente improbabile, ma di là dei giudizi di qualità, identificabile perspicuamente nella tipologia, come un classicheggiante congegno giallo, con tanto di corsa contro il tempo per fermare il boia, eppure non riconducibile alle strategie consuete della suspense, proprio per una saporosa perversione che muta la tensione sui fatti in tensione d’ambiente.
È proprio di Fulci, dunque, anche in queste prove post-musicarelli e post-Franco-e-Ciccio, ma pre- thriller degli anni settanta, la tendenza ad un’inquieta visività, se non visionarietà, anche nel rapportarsi a generi consolidati. Una sull’altra è una prova d’autore, figlia del proprio tempo, figlia d’un Maestro in transizione, ma già vigorosa, d’intreccio e d’identità stilistica.