Sin dai titoli di testa il film Spring Breakers Una vacanza da sballo, presentato alla 69^ Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, risulta essere molto esplicito: coloratissimo, volgarissimo, adolescenziale. Non c’è da meravigliarsi che il film abbia un marchio tutto americano; poiché lì il concetto di libertà assume sicuramente un significato pieno.
Quando si è adolescenti si tende a vivere ogni istante, ogni singolo momento con un’energia e un entusiasmo che rendono tutto pieno di luce, di passione. Si è ribelli, si vuole imporre la propria identità e le proprie regole. Perché a sedici anni ci si sente forti ad avere una vita davanti e ci si sente legittimati a fare e provare di tutto: ogni esperienza serve a formare e insegna. In quella fascia anagrafica ci si avvicina spesso alle droghe, all’alcol, al sesso, alle prime relazioni. Ma non tutti possono o vogliono vivere il proprio periodo adolescenziale facendo una vacanza come quella delle quattro protagoniste del film. Queste ultime, pronte a evadere da una quotidianità noiosa e monotona, decidono di assaggiare un cibo prelibato in quanto rischioso e brioso.
Le ragazze-oggetto sono a contatto con le armi, le auto di lusso, le catene d’oro, il rap e il crimine; idolatrici dell’uomo dominante e disposte a far uso di stupefacenti, come a partecipare a orge, per soddisfare il volere del pusher. Una forma di prostituzione giovanile, o per altri di puro e assoluto divertimento. Non ci sono leggi: ognuna è libera di essere chi vuole e muoversi come vuole, senza sovrastrutture o modalità comportamentali richieste da una società borghese. Un luogo in cui la realtà viene sostituita da un videogame pilotato dal “re dello sballo”, ovvero James Franco; uno spazio sociale caratterizzato da donne in bikini, una musica assordante e un delirio di luci e colori. La fotografia è sicuramente il perno di questo genere di film, all’interno del quale l’effetto visivo gioca un ruolo fondamentale: lo sguardo è attratto da un contorno vivace e appassionante, dove i tramonti mozzafiato restano ben impressi.
Ma sbucciando il frutto si arriva a un nòcciolo che mostra la vera essenza di quel che si credeva avere tra le mani: un mondo magnifico eppure senza scheletro e senza spessore, vuoto. Un sistema senza costrizioni, ma povero di valori, in cui il rischio è quello di svegliarsi un giorno e non sentirsi rappresentato, di non sentirsi a casa. Il film comunica un senso di tristezza, inquietudine e amarezza; il ritratto esasperato di una società ipoteticamente reale lascia preoccupazione e sconforto. Tuttavia la pellicola risulta un pesce fuor d’acqua in una Mostra del Cinema intenzionata a pescare qualità e rilievo culturale, in primis, sociale in secondo luogo.