Christine e Isabelle lavorano in un'azienda di Smartphone. Christine è il superiore di Isabelle, che ne sfrutta il talento. Isabelle si vendica di lei rubandogli l'amante. Christine viene uccisa. Chi è l'assassino?
Diretto da: Brian De Palma
Genere: thriller
Durata: 105'
Con: Rachel McAdams, Noomi Rapace
Paese: GER, FRA
Anno: 2012
Brian De Palma mancava dal cinema con un nuovo lungometraggio dai tempi delle polemiche di Redacted (2007). Negli anni Zero i suoi estimatori si sono abbastanza diradati, tra un goffo The Black Dahlia e un (peraltro sottovalutato) Mission to Mars.
Sembrerebbe dunque piuttosto naturale il ritorno ad atmosfere tipicamente depalmiane e, nell’abituale accezione derivativa, hitchcockiane. Se non fosse che, davanti a quest’ultimo Passion (che ha ricevuto una tiepida accoglienza al Lido lo scorso settembre), si è aperto il tiro al bersaglio.
De Palma sarebbe ormai l’ombra di se stesso, imprigionato nel suo formalismo, a rischio di autoparodia, incapace di uscire dal meta-thriller di cui è stato maestro negli anni Ottanta. E via sbertucciando. È strano che la critica non abbia saputo cogliere tuttavia la logica persino umile con cui quest’ultimo film è costruito.
Non è tanto un’opera “di” De Palma, Passion; ha piuttosto i tratti di un film “come” lo avrebbe fatto De Palma. Nel senso che sembra addirittura il film di un discreto imitatore, di un epigono con una mano diligente e una modesta fantasia. Prendendo come riferimento il solito Hitchcock, Passion potrebbe essere descritto come una copia di copia (di copia…) dell’augusto modello.
Ma è qui il punto: dopo essere stato per almeno un trentennio il più convinto, lucido e accreditato tra i cineasti che s’ispiravano a Hitchcock, De Palma sembra avere messo da parte lo studio del modello principe e aver rivolto la sua attenzione all’imitatore o se vogliamo al modello di secondo grado o istanza: se stesso.
Passion pare allora un film “depalmiano” quanto, per dire, Vestito per Uccidere o Complesso di Colpa erano “hitchcockiani”.
Consapevole che il postmoderno ha fatto il suo tempo, il regista di Newark ne è però un esponente così genuinamente privo d’ipocrisia o di scrupoli intellettuali che non esita a ridurre la propria importanza (o, ambiguamente, ad aumentarla), indossando i panni di un falsario senza genio, di un autore di modesto spessore che guardi con reverenza al suo maestro.
Per tentare un paragone, è come se il dottor Jekyll, ormai sfibrato e in parte dimentico di sé e di chi è appena stato, si proponesse di studiare il cadavere di Mr. Hyde, rimasto eccezionalmente sul pavimento del suo laboratorio. Per usare un termine venuto alla ribalta nelle ultime stagioni cinematografiche, Passion è una sorta di ironico, compiaciuto e insieme freddo reboot del cinema di De Palma.
Esattamente come per il corpus hitchcockiano, assunto non come campionario di luoghi comuni, ma come stimolo alla verifica delle possibilità del cinema postclassico di ri-pensarsi e ri-darsi, il cinema di De Palma ri-vive in questo Passion, che con smaliziato acume indugia sulle goffaggini, sui colpi di scena, sugli split screen. Tutti elementi da sempre imputati come gravi difetti al regista dai suoi agguerriti critici, poco inclini a considerare il suo studio di Hitchcock un valore in sé.
Non dovrebbe viceversa sfuggire come, per esempio, il trio di donne che si muovono nella trama di Passion sono unite in un rapporto che, pur genericamente piramidale e sulle prime cordiale, è complicato da gelosie, tradimenti sessuali, manovre per mettere in cattiva luce la collega-rivale (Noomi Rapace punta in qualche modo al rango di Rachel McAdams, ma l’assistente della prima – la rossa Karoline Herfurth – è innamorata di Noomi e aspira ai suoi favori).
È chiaro che a De Palma nulla interessa del clima di guerra più o meno sotterranea che punteggia la vita di un’azienda di tendenza.
Così come il whodunit basato sull’eterna diade Sesso&Omicidio non ha alcunché di esemplare o di rivelatore, prestandosi anzi a critiche superficiali. Semmai, le relazioni tra le tre donne appaiono come l’ipostasi dell’idea di fondo che sorregge tutta l’operazione, e che abbiamo dianzi suggerito: un contributo alla critica al cinema di De Palma discepolo infedele di Hitchcock, operato però da lui medesimo, opportunamente travestito da ambizioso mestierante.
Si può obiettare che una simile impresa sia niente altro che l’innocuo e traballante esercizio di stile di un cineasta alla frutta (e l’accusa potrebbe estendersi all’interpretazione che di Passion fa il sottoscritto, per quello che importa).
Ma la stessa argomentazione, vale la pena di rammentarlo, l’hanno usata in molti e per molti anni quando il Nostro girava Omicidio a Luci Rosse e Blow Out. Non so se oggi lo direbbero di nuovo. Nel dubbio, io mi sento di ascrivere Passion al meglio della produzione di De Palma.