Alla fine si fa come Amy Adams. Ci si ripensa. Alla capacità affabulatoria dello stilista Tom Ford, alla metanarrazione, all’incubo che non finisce mai e sfinisce, all’impaginazione di un dramma teso fino all’esasperazione. Tutti hanno già visto Blue Velvet di Lynch e The Hot Spot di Dennis Hopper. Tom Ford non ha inventato nulla di nuovo. Ha sballottato lo spettatore dall’inizio alla fine in un gioco al seduci-e-violenta dove la vittima della metanarrazione è Amy Adams, ricca artista newyorchese che non riesce a digerire l’idea di essere come sua madre, come gli ripeteva sempre l’ex-marito, che gli ha appena recapitato il suo nuovo romanzo, e che lei legge avidamente e con il cuore in gola, anche perché la storia fa davvero paura.
E’ proprio di questo che tratta il doppio film di Ford. Della paura, malsana ieratica, senza via di scampo, della provincia americana e di quello che comporta l’inettitudine umana, l’ingenuità, la notte di una stradina che non offre scorciatoie di salvezza. Ford ha imparato molto bene il linguaggio del cinema e lo ripresenta così com’è, con levigata perfezione. Gli attori li sa dirigere alla grande, sa osservare una messa in quadro di raggelante condotta psichica, sa come si tengono i campi, sa attendere il turno per colpire duro e alla fine riesce a far raggiungere il climax, il punto di non ritorno della metanarrazione. Far coincidere il personaggio di Amy Adams con lo spettatore.
Tom Ford dunque raggiunge il livello minimo che serve ad entrare nella ristretta cerchia di registi che “ci sanno fare”, ma è sufficiente? Lo studente ha capito come ricreare le atmosfere dei grandi, sa gestire ogni situazione con il piglio consumato del regista di genere. E osserva un punto fondamentale: in questa atroce storia di bestie assetate di sangue non predica mai la morale, non fa il postino, non manda messaggi a nessuno. Nessuna operazione di denuncia. Forse è già tanto. Ma non è abbastanza, perché l’horror vacui che costruisce è tutto di facciata. Magari in futuro migliorerà, ma per adesso l’adesione all’horror vacui genera uno sguardo granitico e cristallino che si sofferma sui corpi martoriati per accedere al punto massimo in cui la violenza si fa più insopportabile. Riesce a sporcarsi gli occhi.
Il discorso è prettamente postmoderno, di chi non ha un minimo di originalità, nonostante lo sguardo rimanga del tutto onesto e mai furbo. Ma non tutti nascono Nolan o Paul Thomas Anderson. Saper mettere in prospettiva la tragedia con il tocco di classe di una mdp in fieri che agisca si come oggetto contundente ma che non si avvicini troppo alla limite che deformi lo sguardo in puro teatrino degli eccessi, è una cosa che o si acquista nel tempo oppure non la si avrà mai. Per le ambizioni altissime che coltiva, Animali notturni non è poi così male come sembra e solo una dichiarazione d’intenti di un regista che sta tentando di emergere. Ford ha solo scelto un campo difficilissimo, il rape-movie, uno dei più abusati negli ultimi decenni. Onore alle armi dunque.