L’imbellettamento del profilmico come crocevia estetico di una partitura sempre uguale, mai veramente intrigante. Sofia Coppola vince il suo terzo premio importante nel giro di tredici anni. E’ un po’ troppo. Davvero la figlia di Francis Ford Coppola ha meritato l’Oscar alla miglior sceneggiatura (Lost in translation, 2003), il Leone d’Oro a Venezia (Somewhere, 2010), la Palma d’Oro a Cannes per questo L’inganno (The Beguiled, 2017)? Il premio per la miglior regia nel 2016 andò a Mungiu e Assayas, nel 2015 ad un gigante pochissimo visto in Italia come Hou Hsiao-Hsien. Ma il premio per la miglior regia alla Coppola è davvero qualcosa che è difficile concepire. Quello che disse Marco Grosoli su Spietati.it dopo la presentazione del film a Cannes non lasciava scampo a dubbi. La Coppola sa, comunque, cosa significa piazzare un buon prodotto sul mercato, The Beguiled concilia il sonno come una dolce ninna nanna, anche se a lungo andare il sospetto di una presunzione d’intenti fa capolino dopo i primi 45 minuti.
L’orchestrazione del materiale visivo non fa una piega. Dalla fotografia al make-up la sinfonia visiva va avanti come emessa da un flauto dolce. Ma non ci sono scossoni. E’ il montaggio che fa il film. Il cast serve a vendere bene il film. Le performance sono superiori ai personaggi scritti, la Coppola non va mai oltre la messa in quadro di una quotidianità dove il represso è il metro di giudizio di una corporeità lancinata da inconfessabili desideri. Il ritmo latita sempre, ma non è per questo che il film rimane spento e inespressivo. La lentezza siderale dell’ultimo Twin Peaks The Return rimane esempio lampante di una regia consapevole, tellurica, cosmogonica, capace di rilanciare Lynch alle vette di Eraserhead.
Dimostrare l’inconsistenza del cinema di Sofia Coppola sarebbe davvero una cosa troppo facile. Ma il premio per la miglior regia a Cannes di un film che forse poteva anche non andare in Concorso, fa pensare. A tutto quello che non bisognerebbe fare in un film. Si tratta di un’idea di regia procedurale e adatta ad un mercato omologato, come è successo recentemente in modo ancora più granitico negli ultimi film di David Fincher, superbamente diretti ma completamente avulsi da una qualsiasi empatia con lo spettatore.
In alcune scene, quando la Coppola si ferma a contemplare i quadri costruiti in modo fisso, sembra di trovarsi in un ambiente simile a quello costruito da Peter Weir nel magnifico Picnic ad Hanging Rock (1975). Ma lì scrittura e regia andavano di pari passo con un incedere minaccioso, disturbante, in cui l’orrore si manifestava tra le pieghe di un racconto sibillino e l’effetto magniloquente era ricercato nei dettagli. The Beguiled è una cerimonia di morte senza la morte, priva d angoscia, semplicemente imbellettata e adatta ad un pubblico borghese.
Ve l’immaginereste un Rossellini o un Kubrick a vincere Oscar per la miglior sceneggiatura, Leone d’Oro a Venezia e Palma per la miglior regia a Cannes? Non gli è mai successo (nonostante Rossellini abbia comunque vinto premi importanti), alla Coppola è stato concesso, ed è solo agli inizi della carriera! Sicuramente c’è qualcosa che non va nelle selezioni dei Festival, anche se questa è un argomento altamente risaputo. Per adesso si deve fare i conti con la vacuità premiata dalla Coppola che approva sul grande schermo e la genialità mai conciliata (e per certi versi ritrovata) del Lynch di Twin Peaks The Return, che purtroppo va solo sul piccolo schermo.