Paul Thomas Anderson si ritrova ad avere un’accoglienza critica smolto simile a quella che ebbe Stanley Kubrick negli anni ’50. Venne accusato dall’allora critico dei Cahiers du cinema Jean-Luc Godard di essere solo un bravo “allievo”, che ricopiava i noir in film come Il bacio dell’assassino e Rapina a mano armata. Per poi andare ad elogiare (molto tiepidamente e senza troppa convinzione) Lolita, definendolo un film semplice e maturo, senza troppi fronzoli e “citazioni” da altri film.
Analogamente, Paul Thomas Anderson è stato accusato di aver ricopiato Scorsese in Boogie nights, di aver rifatto Altman in Magnolia e di aver ripreso lo stile di Jerry Lewis in Ubriaco d’amore. Ma davanti ad un film divino, di bellezza spropositata come Il Petroliere hanno dovuto ammettere tutti che si trattava di un capolavoro. Anderson, come si diceva non ha neanche raggiunto i quarant’anni. C’è da chiedersi chissà cosa potrà fare in futuro questo ragazzo, con le qualità che si ritrova! Forse avremo dei film simili a Arancia Meccanica e 2001: Odissea nello spazio? Qunado si darà alla fantascienza o all’horror? E quando al melodramma?
Anderson abbina la composizione scenica del cinema-cinema memore dei Leone e dei Powell una direzione degli attori che lo accomuna a Kubrick, per la precisione, la semplicità, il modo secco e intransigente con cui trasforma i caratteri e si libera da subito delle convenzioni dello script. Pochi altri giovani registi a Hollywood possono permettersi la sua libertà. Forse Shyamalan o Nolan. Anderson pare però avere uno scopo diverso da quello di usare il genere per esplorare le dinamiche tra i personaggi, Anderson ha anche un intento morale, la necessità di preservare il dubbio, sull’identità di ogni personaggio e sul modo di condurre la narrazione.