Perché L’Esorcista fa ancora paura, oggi? Perché un film di 38 anni fa riesce ancora a infondere dubbi altissimi sul valore della messa in scena, sul cinema inteso come opera di indagine politica della società? L’esorcista pone dubbi, enuclea misteri, riprende teorie vecchie per riproporle aggiornate, secondo dettami squisitamente nichilisti. William Friedkin a 38 anni, (l’età che aveva il regista quando girò il film) riesce a dare una svolta epocale, decisiva al suo cinema e al genere horror. Friedkin “inventa” l’horror(a) reale come teoretica sulla realtà dell’orrore, mette in scena la possessione diabolica come espediente morale per far detonare contraddizioni e svolte che non appartengono solo agli ’70, ma riprendono stilemi contenutistici/formali senza età.
Il tempo non ha scalfito la patina di horror realista de L’esorcista. All’epoca il film faceva una paura maledetta. Oggi si rivede il capolavoro di Friedkin come un’operazione irripetibile, dalla potenza eversiva devastante, paragonabile per impatto ad una Bomba atomica. Oggi c’è un regista della New Hollywood che sia capace di una simile sintesi di modi/stili/temi? A bruciapelo non me ne viene in mente nemmeno uno. Forse solo Christopher Nolan. Non certo Lynch, e nemmeno i teorici della “limatura” del genere come i Coen.
Come tutte le opere iniziatiche L’esorcista riflette quello che fu il momento più prolifico del suo autore, rimanendo un faro cui attingere per dispiegare il senso del conflitto ultimo che si genera ogni volta che la ragione e il trascendentale entrano in conflitto. Domande senza risposte. Questa in definitiva è la grandezza non solo de L’esorcista ma anche del cinema di Friedkin tutto.