Sweeney Todd Il diabolico barbiere di Fleet Street
Tempo imprecisato. Benjamin Barker è un barbiere londinese. Un giorno il giudice Turpin gli porta via sua figlia, frantumando la sua famiglia. Il barbiere medita una vendetta che dovrà attendere a lungo per realizzarsi.
Diretto da: Tim Burton
Genere: horror
Durata: 116'
Con: Johnny Depp, Helena Bonham-Carter
Paese: USA, UK
Anno: 2007
6.5
Tutto o quasi il cinema americano degli ultimi 12 anni è caratterizzato da quella che si potrebbe definire “un’estetica della revenge”.
Dopo gli attacchi dell’11/9 e la conseguente caccia del Governo Bush ai terroristi di Al-Qeida, il mondo è entrato in questa spirale senza ritorno della necessità di punire l’offesa subita, di estinguere il debito contratto con la Storia e di celebrare nella maniera più roboante ed esplicita possibile la vendetta.
Il film più famoso, ovvio, è l’action di McTeigue con Natalie Portman, ma tutto il cinema di Tarantino è basato su un’idea profondamente manichea e reazionaria della vendetta.
I film americani sulla revenge non si contano, praticamente si può dire che l’America stessa è ossessionata dall’idea della vendetta.
Tra tutti i cineasti che hanno affrontato il tema TimBurton è quello che ne ha dato l’esemplificazione per certi versi più sconcertante. Sweeney Tood – Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007) è il suo film più anomalo, il più avulso da un’idea di cinema intesa come gioco (tutto il cinema di Burton è basato sul gioco), quello più serio, con un JohnnyDepp che più torvo e minaccioso non si può.
E si può dire che c’è una notevole differenza tra la Thurman/Beatrix Kiddo di KillBill (2003-2004) e il Depp/Todd del film di Burton. Nel film di Tarantino la vendetta è sempre messa in scena come un gioco, tra l’altro gonfio fino al midollo di citazioni dai più disparati film di cappa e spada, la Thurman uccide, sfegia, sgozza sempre con il sorriso tra le labbra e, attraverso il personaggio di Beatrix Kiddo, Tarantino non sembra quasi mai rendersi conto delle atrocità che commette. Nessuno degli omicidi commessi in Kill Bill ha un peso specifico in termini esistenziali. A Tarantino non interessa nulla dei corpi senza vita, è come un bambino che gioca con bambole inanimate, uno vale l’altro.
Per Burton e per il suo alter ego Depp/Todd invece no. Nel ghigno di vendetta del barbiere c’è sempre un sadismo consapevole. Il barbiere sa quello che sta facendo e lo fa con tutto il rispetto dovuto ad ogni vittima, prendendo coscienza di sé attraverso un’espressione indimenticabile di Depp, quella del barbiere trasfigurato in una figura di morte. Ce ne vuole di fegato per andare così oltre nel cinema americano di oggi e, proprio il regista dei balocchi numero uno, Tim Burton, offre un’opera di morte come non s’era mai vista, una raffigurazione densa e granitica che officia con perfezione al disgusto e alla rappresaglia morale contro una società intimamente corrotta. Burton a differenza di Tarantino, prima mostra il sangue come caramello fondente che scivola tra i bassifondi londinesi e poi lo fa schizzare nella sala del barbiere, rimestando una coscienza della morte e della fine che non ci si sarebbe mai attesi da un regista come lui.
Sweeney Todd è un’operazione di teatralità del disgusto che nei 3 successivi film non si rivedrà più.
Un film consapevole, malvagio, fuori dal tempo e dentro il tempo corrotto e insano, un’opera che fonda stregoneria e mito, che sembra voler far ridere con un afflato da musical anche abbastanza godibile, per poi ingannare lo spettatore e fargli rimestare il dolore del barbiere Todd, immerso nel suo stesso sangue, nella più atroce rappresentazione che si sia vista in un contesto così fiabesco e apparentemente leggero come quello che si concerne ad un’opera semi teatrale.