Le vicende di 6 personaggi, dalla metà dell'Ottocento al Ventiquattresimo secolo si intrecciano tra di loro.
Diretto da: Tom Tykwer, Andy e Larry Wachowski
Genere: fantascienza
Durata: 172'
Con: Tom Hanks, Halle Berry
Paese: GER, USA
Anno: 2012
Un conclamato risveglio. Servivano i fratelli Wachowski in una coproduzione tedesca insieme a Tom Tykwer per risvegliare l’animale morente del cinema.
Certo, il risveglio è irto di insidie, ostacoli, vaneggiamenti, ma alla fine si arriva al risultato: quasi 3 ore di narrazione pura i incontaminata, un cinema concepito da tre menti che credono ancora nel racconto classico, s’inventano una resurrezione dello schermo, con personaggi che finalmente tendono a fuori uscire da esso. Non si vedeva da tempo, ma si tratta di un progetto al di fuori delle major, niente Universal, Fox, New Line, Paramount. Questa è roba indipendente.
Oramai al cinema pare ci si debba affidare esclusivamente alle voci fuori dal coro per vedere qualcosa di sanamente ingiurioso, mefistofelico, qualcosa di mai visto, un tentativo irripetibile di rifondare la materia narrativa, scaldandola con il gelo di una post rappresentazione che reinventa la classicità.
Cloud Atlas si muove come un dedalo ottagonale che riflette ogni volta un gusto diverso, è probabilmente debitore di un’estetica anni ’80 (vedi Blade Runner che viene anche esplicitamente citato in una scena), che riprende il discorso di Matrix ma in maniera decisamente più estroversa e vorticosa.
Fors si è d’accordo in Cloud Atlas nel sottolineare l’avanzamento di un’estetica primordiale sull’immagine classica del cinema spettacolare.
Come si fa a girare un kolossal oggi a Hollywood? Si devono reinventare la parti, le si deve scomporre, ridimensionando e ampliando gli spazi, smussando gli angoli, invertendo ogni volta la rotta nel concepimento di un’idea. La triade Wachowski-Tykwer è così che si muove, ingannando spazio e tempo, ricostruendo il cinema dalla sue ceneri, mostrando il classico come preparazione per una estetica millenaria dell’immagine.
Così il divertimento dello spettatore si mescola allo stupore di chi non è più abituato alle narrazioni sovraesposte e intrecciate tra di loro. Si reinventa il collegamento paratestuale, tratteggiando i vari capitoli di atmosfere mai viste, riuscendo ancora ad adottare il punto di vista della sparizione lisergica.
Il cinema ha bisogno di lasciarsi alle spalle un certo didascalismo che pare abbia preso dalle serie tv, deve ritornare a riappropriarsi si una forma collegata al mito e alla prosopopea, rigenerando l’immagine del tempo, annullandolo e ricollocandolo nello spazio multiforme.
Questa di Cloud Atlas è fantascienza classica, costruita secondo dettami metafisici, incanalata in un turbo-racconto che dirama gli influssi dicotomici dell’immaginario in un repertorio stratificato a più voci, in cui il fulcro del racconto è sotto gli occhi di tutti maim non vede mai. La storia del narratore Jim Broadment e del suo collaboratore Ben Wishaw, che finisce nel sangue e forse si ripeterà nei secoli dei secoli.