Joaquin Phoenix, che tornerà a Cannes per presentare il film The Immigrant di James Gray, è un attore-scheggia, un interprete amato dai grandi autori di Hollywood, da Gus Van Sant a Ridley Scott, fino a M. Night Shyamalan e Paul Thomas Anderson.
Il primo ruolo veramente importante nella carriera di Phoenix arriva da Gus Van Sant, quando interpreta il ragazzino disturbato in Da Morire (1995), il film in cui viene sedotto da una torrida Nicole Kidman, in cu è già possibile vedere i segnali che faranno di Phoenix un’anti- Star complessa che non si risparmia mai, neanche davanti ai copioni più audaci.
Tra il 1999 e il 2000 Phoenix gira ben 4 film, tra cui spiccano Il Gladiatore di Ridley Scott, dove interpreta il mefistofelico Commodo e la sua interpretazione viene lodata e ricordata ven più di quella pluripremiata di Russel Crowe. In questo biennio l’attore gira anche l’action d’autore The Yards con James Gray, (regista con cui poi l’attore formerà un forte sodalizio nel corso degli ani ’00), The Quills La penna dello scandalo con Philip Kaufman, film che racconta la vicenda del Marchese De Sade ed infine il thriller sugli snuff movies 8MM Delitto a luci rosse del sempre tremendo e reazionario Joel Schumacher.
Phoenix negli anni ’00 offre due grandi performance in due film fondamentali di Shyamalan, Signs (2002) e The Village (2004). In particolare, nel primo film l’attore è protagonista di una scnea straordinaria, per certi versi esilarante e assolutamente thrilling, in cui si rinchiude in una sgabuzzino per vedere l’invasione alinea in televisione e quando viene mandato in onda un servizio amatoriale su un incontro ravvicinato con una alieno, alla vista dell’alieno, l’attore caccia un urlo di terrore straordinario. Una scena da Oscar. A metà strada tra fantascienza minimalista e puro divertimento per l’orrore proveniente da un’altra galassia. Un vero gioiello.
In The Village Phoenix si distingue per la parsimonia di una performance sottotono che mostra tutta la stoffa del grande interprete, in un romance gotico che quasi nessuno capisce. Il pubblico americano forse si aspettava un’esplosione di terrore simile all’Esorcista o, comunque, una trovata di script simile a quella vista ne Il Sesto Senso, dello stesso Shyamalan, del 1999.
In seguito Phoenix affina ulteriormente le proprie capacità con i due successivi film di Gray (regista che come si diceva all’inizio portarà a Cannes The Immigrant, al fianco della Star francese Marion Cotillard): I Padroni della notte e Two Lovers. Due performance classiche per due film classici (ma chi è il vero classico, Gray o Eastwood? Oppure Scorsese? Chi scrive pensa che, in fondo, il cinema di Gray non sia altro che una fotocopia senza nerbo del cinema scorsesiano degli anni ’70).
I Padroni della notte mescola estetica anni ’70 degna del miglior Scorsese (ma se devo vedere un emulo del grande Martin, tanto vale che riveda i suoi film, piuttosto che sorbirmi un surrogato del suo cinema migliore) e estetica da film “che gira su se stesso” anni ’80. I Padroni della notte venne anche fischiato a Cannes con l’accusa di essere un film reazionario. Sono accuse che Gray non merita. Bisogna fare ben altro per meritarsi l’accusa di essere reazionari. Non basta fare un film a favore della polizia.
Two Lovers è invece una love story, Phoenix offre, insieme a Gwyneth Paltrow, una grande performance. Il film è fatto bene ma alla lunga si dimentica. Lo stile di Gray non è stato finora mai incisivo. Magari questo ultimo The Immigrant potrebbe invertire la tendenza.
Infine arriviamo all’ultima fase, quella in cui viene omaggiato da un falso documentario (un mockumentary) su di sé, girato da Casey Affleck I’m Still Here (2010) e gira quella che è finora la sua performance più intensa: Freddie Quell in The Master di Paul Thomas Anderson.
Il film di Paul Thomas Anderson si produce in una narrazione zoppicante, sospesa, acutizzata su una struttura nervosa e in continuo andirivieni di situazioni “calde” e “fredde”, attraverso situazioni di calma dialettica e di improvvise esplosioni di violenza (com’è il personaggio di Freddie).
Anderson si intestardisce su una dialettica che non giunge mai al punto, risultando frustante. The Master non emoziona mai, risulta alla fine addirittura un’opera dimenticabile, nonostante l’imponente lavoro profuso in cabina di regia e nelle interpretazioni sempre eccelse di tutto il cast.
Phoenix è libero come non mai di sperimentare, accanendosi sul proprio personaggio come una sanguisuga, interpretando un uomo sempre insofferente, che sembra non trovare mai pace.
Spiccano molte stupende scene (in un film che visto nel suo insieme appare decisamente molto più povero di quello che sembra), come quella in cui viene arrestato insieme a Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman) e nella foga della rabbia distrugge la tazza del water a forza di calci. Fantastiche anche le scene iniziali in cui avviene la prima conoscenza con Dodd “The Master”.
The Master è l’ultima perla che porta definitivamente a compimento il percorso di maturazione artistica di Joaquin Phoenix. Un attore che riesce sempre a solcare la linea che separa la moderazione dall’esplosione incontrollata. Non è un caso che, finora, non abbia mai preso parte ad un blockbuster. Forse è per questo che gli autori lo amano così tanto?