Il cinema di genere è un fulcro narrativo flessibile e solo apparentemente anonimo, tale da potersi ben nascondere tra le pieghe di un sistema produttivo come quello della Hollywood degli anni ’70-’80. Ciò che ha fatto di Wes Craven un filmmaker di genio (alternato) appartato è stato la possibilità, conferita da un’industria ancora in fieri, di far sposare l’imprevisto (il contenuto) con un senso artigianale del fare cinema (la forma).
Così nascono i Deadly Blessing (Benedizione mortale, 1981: uno dei primi ruoli di Sharon Stone) A Nightmare on Elm Steet (Nightmare Dal profondo della notte, 1984), The Serpent And the Rainbow (Il serpente e l’arcobaleno, 1988), The People Under the Stairs (La casa nera, 1991), fino all’ultimo più che buono Scre4m (Scream 4, 2011). L’horror di Craven ha avuto una potenzialità ludico-tellurica nell’immaginario. Il mostro di Nightmare e i riti voodoo di The Serpent and the Rainbow sono lì a certificare un nodo estetico di vitale importanza per un regista sempre attento al dettaglio rivelatore. Craven ha rivendicato sempre la sottigliezza amorale del sangue, la padronanza di un certo tipo di violenza gore, ma mai arrivando ai livelli mediocri di Eli Roth. Craven viene da un’altra generazione: nato artisticamente ngli anni ’70, i suoi padri sono Fuller, Aldrich, Perckinpah. La sua impronta registica è sempre stata votata alla scelta dim immagini essenziali e mai parodiche.
Wes Craven è stato uno dei padri del cinema horror, così come Griffith è stato l’inventore puro del linguaggio cinematografico. Craven ha il merito di aver inventato la sintassi della scena dove l’angolatura del mostro rivela nel buio i suoi tratti distintivi: dove c’è il terrore dell’ignoto c’è uno spiraglio di saggezza rinascimentale. Craven ha dimostrato l’importanza di una scena improbabile e del tutto imprevista, dove gli scogli della narrazione erano tutt’uno con la costruzione densa di un’alternanza tra campo-fuori campo del tutto innovativa.
La filmografia di Craven è stata sicuramente incostante, di passi falsi ce ne sono stati tanti, ma si sa bene che sopravvivere nei decenni con un genere come l’horror è impresa tutt’altro che facile. Il suo ultimo Scre4m, il numero 4 della serie, è anche il migliore, il più teorico e sfacciato. Craven è stato uno dei pochi registi della sua generazioni ad aver sfruttato in maniera consapevole, senza rischi di retorica moralistica o appesantimenti teorico-retorici il rapporto della società contemporanea con i nuovi mezzi tecnologici. La seconda parte di Scre4m denota una capacità di spostare l’ago della bilancia narrativa verso un rapporto molto stretto con la violenza più esplicita e necessaria. Niente a che vedere con il modo di fare di De Palma in Redacted.
Chi ha sentenziato che il miglior film di Craven è The Serpent and the Rainbow dice probabilmente il vero. La sintesi esatta tra mistero perdizione nell’angolatura dello sguardo che annuncia la fine di un mondo e l’inizio di un altro. Nello scarto estetico tra i due mondi (Dall’arte di Aldrich, Fuller, Peckinpah fino al trash di Roth) c’è Craven. Si tratta dell’ultimo vero film maker horror. Dopo di lui (e i suoi colleghi: Carpenter, Romero, per certi versi Landis) ci sarà una crisi che perdura tutt’oggi.