Il filone degli inquietanti bambolotti del male vanta ormai una discendenza così lunga che produrre qualcosa di realmente innovativo e spaventoso sarebbe quasi un’impresa. Eppure, la premessa di The Boy resta la cosa migliore di un horror così imbambolato in scrittura e regia, da dimenticarsi gli ingredienti di base di ogni omologo del genere: la paura, ma soprattutto la suspense. William Brent Bell, in altre parole, non sfrutta a dovere un’idea vecchia, ma comunque affidabile se adeguatamente coltivata: il solido presupposto si disperde nella lentezza irritante della prima parte e nella piega melodrammatica, se non involontariamente comica, dell’accelerazione, o tentata tale.
Greta (la Lauren Cohan di The Walking Dead) accetta un incarico da tata nella campagna inglese per allontanarsi da un ex piuttosto manesco. La sorpresa è che il ragazzo di cui deve prendersi cura è in realtà un pupazzo di dimensioni naturali, Brahms, che i genitori trattano in tutto e per tutto come un normale bambino, per rimuovere il dramma della morte del figlio in un incendio. Così, Greta è tenuta a vestire, nutrire ed intrattenere il pupazzo: è tutto scritto in un decalogo. Non appena, per fisiologico scetticismo, comincia ad ignorare le consegne, qualcosa d’inquietante pare affacciarsi per richiamarla al dovere, e – forse – minacciarla.
Forse più tendente a suscitare commenti ironici e risatine di scherno che urla di terrore ed interesse montante, The Boy conferma che William Brent Bell, dopo il fallimentare L’altra faccia del diavolo e l’irrisolto La metamorfosi del male, manifesta un’insidiosa propensione all’anti-climax: i suoi film risultano discontinui nella tensione, sono caratterizzati da transizioni narrative sommarie o assurde (che talora rendono persino arduo ricostruire la storia), si sciupano ulteriormente nel finale. Nei momenti topici, The Boy toppa nei toni (Lauren Cohen costretta a trascorrere dall’impaurito, al cinico al materno con poca credibilità), materializza personaggi poco funzionali (il possessivo ex ed il fruttivendolo che flirta, in un surreale quanto inutile triangolo), delude con le rivelazioni dell’ultima parte.
Nonostante le discrete interpretazioni provino a tenere a galla il film, The Boy difetta anche in quello sporco lavoro spesso utile a salvare persino gli horror meno ambiziosi. I momenti di paura, infatti, appartengono alla lega dei più scontati e tiepidi trucchetti di genere: i sobbalzi improvvisi, le porte che si chiudono, la notte tempestosa e scura, la scalinata della soffitta. Faranno anche il loro effetto, così come tutto il lavoro di ripresa e montaggio in cui Greta esplora la nuova abitazione – ed il plauso, in questo senso, va anche al production designer John Willett; ma le improbabili reazioni psicologiche ed i twist poco plausibili finiscono per dissipare anche quel poco d’inquietudine faticosamente originata (“terrore” sarebbe un parolone). Conclusioni inevitabili, allora: né Chucky né Annabelle benedirebbero – o maledirebbero, fate voi – un prodotto così grossolano.