Dopo il mediometraggio “Le avventure del ragazzo del palo elettrico”, il regista giapponese Shinya Tsukamoto ne riprende parte delle tematiche e dello stile nel realizzare “Tetsuo:The Iron Man”, il suo lungometraggio più celebre. “Tetsuo” girato nel 1989 e primo di una trilogia che proseguirà nel 1992 con “Tetsuo II: Body Hammer” e nel 2009 con “Tetsuo: The Bullet Man, è un incubo allucinato, dalle immagini visionarie ed inquietanti, dove Tsukamoto crea il proprio linguaggio filmico con un montaggio fulmineo fatto di associazioni e non di tracce narrative e di una regia aggressiva che assale la percezione sensoriale dello spettatore.
Nel raccontare di “Tetsuo”, Tsukamoto parla di una lotta contro se stessi e contro la propria trasformazione, un uomo che diventa un orrore di latta, dove materia e carne si uniscono, acciaio e sangue diventano tutt’uno. “Tetsuo” è una tragedia visiva che a suo modo ha plasmato una propria estetica sci-fi mista alla cultura cyberpunk della creatura bio-meccanica fino ai rimandi all’horror nipponico. Considerato un Cronenberg orientale per la vicinanza delle tematiche, Tsukamoto esplora anch’egli la mutazione corporale con uno sguardo più grottesco e meno antropologico rispetto all’autore canadese. L’uomo è in continuamente percosso e in conflitto dal proprio orrore fisico, dal rapporto che ha con la propria corporalità e come il corpo si relaziona con gli altri.
Così tra organi sessuali che diventano frese elettriche e amplessi meccanici, Tsukamoto parla dell’uomo come macchina difettosa, in contrasto ma anche terribilmente attratto dall’affascinante erotismo dall’elemento materico che lo circonda. Un film che dilania con un sonoro che ha il rumore dell’acciaio che stride, “Tetsuo” è un compendio d’immagini incubo che ha il sapore del metallo.