I bambini di Cold Rock

Jessica è un'infermiera che lavora nella città di Cold Rock dove avvengono strane sparizioni di bambini. Julia intende indagare.
    Diretto da: Pascal Laugier
    Genere: horror
    Durata: 106'
    Con: Jessica Biel, Jodelle Ferland
    Paese: USA, CAN
    Anno: 2012
6.2

 
I bambini di Cold Rock di Pascal Laugier assomiglia as un horror, ma solo alla fine si scopre il suo vero volto: un acuto dramma sociale, che manifesta con semplicità la sua voglia di stupire.

 

Jessica Biel interpreta il ruolo Julia, un’infermiera che vuole scoprire la verità sulla misteriosa scomparsa dei bambini che avviene a Cold Rock, nella profonda provincia americana, un luogo quasi arcaico, sprofondato nel verde, nelle foreste, un villaggio che non promette alcun futuro per i suoi abitanti, gente comunque piuttosto semplice ed ignorante.
In questo contesto l’infermiera Julia è una persona ben educata ed istruita, che si è stufata di credere alle leggende costruite attorno al presunto “The Tall Man”, il famigerato “uomo alto” che rapisce i bambini.
La realtà è delle cose è diversa da come viene descritta dagli abitanti di Cold Rock e, in queste righe, per rispetto nei confronti del lettore, non verrà rivelata.

 

 

I bambini di Cold Rock si presenta come un horror abbastanza tradizionale, che nelle prima parte mantiene tutta la suspence che si deve ad un classico film del terrore, con le consuete scene girate tra i maestosi alberi di una foresta dove è molto facile mimetizzarsi, nascondersi e, nelle tipiche notti d’inverno ci può scappare anche che l’immagine che sia ha del terrore produca mostri mentali che acuiscano questo senso di perturbabile che si avverte nell’aria.
E’ così che funziona la prima parte del film, avvolta nel mistero e calata in un’atmosfera del tutto riconoscibile di un universo immaginifico che si ricorda da fin dai tempi gloriosi degli horror gotici della Hammer.

 

Poi nella seconda parte Laugier scopre le sue carte, elimina i mostri mentali, il percorso narrativo si fa più lineare, realistico, si smette di avere paura, si guarda in faccia la realtà nella sequenza dell’interrogatorio in cui Julia confessa i suoi crimini, e nel finale si assiste al rovesciamento delle parti.
E si capisce la colossale truffa morale di un sistema che toglie ad alcuni per dare ad altri, un sistema che agisce non per seviziare l’infanzia ma esattamente il contrario, per valorizzarla, emerge un sottobosco sinistro ma del tutto coerente ad una società capitalistica, borghese che ha bisogno di creare mostri per nascondere altre nefandezze.

 

 

Il percorso morale del film Laugier è lucido, spietato, in cui l’horror stesso viene annullato, capovolto, persino ridimensionato, a fronte di una requisitoria morale che toglie l’accesso all’indefinito, calpestando forse lo stupore di una visione prima raggrumata e infine vilipesa nel nome di una superiorità tutta di testa, che mira all’applauso conservato nell’espressione “avrei potuto continuare ad ingannarvi, ma ho lasciato le favole agli altri”.
Il percorso realista di Laugier è lodevole, spiazzante, merita una visione attenta, ma fino a che punto la sua retorica disvelatoria (siamo quasi dalle parti di The Village) prenderà corpo in una meraviglia consapevole?
Secondo il regista francese, forse non è più tempo di mostri. Sta in questo forse la fine del genere horror?

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).