È tutto flashback, ma non brilla molto Dark Places – Nei luoghi oscuri, debutto hollywoodiano del regista francese Gilles Paquet-Brenner: non bastano la stella un po’ spenta di Charlize Theron ed un’atmosfera incupita in stile Gone Girl di Fincher – altro film adattato da un romanzo di Gillian Flynn – quando la sceneggiatura brancola nel buio e risolve un po’ sbrigativamente certe fasi cruciali. Del discutibile andamento in chiaroscuro resta l’effetto di una qualche fascinazione visiva, ma la sensazione prevalente è che l’accattivante soggetto sia stato un po’ annacquato, puntando più sull’indovinello che su di un’attenta caratterizzazione.
La famiglia Day è stata massacrata da tanti anni. Libby, all’epoca una bambina ed ora un po’ disadattata, ha quasi esaurito i fondi che l’hanno sostenuta per anni, per lo più donazioni pietose, ed a volte sembra preda di un esaurimento nervoso. Deve allora farsi forza ed accettare la grana del Kill Club, una singolare associazione di appassionati di cronaca nera che ripescano e risolvono vecchi casi. Per coadiuvarli, dovrà rivedere il fratello, in prigione da ventotto anni proprio per la sua testimonianza, e ripercorrere luoghi oscuri della memoria. Le cose si rivelano diverse da come aveva pensato, o rimosso.
Nascosta sotto un cappellino con l’aria scorbutica, la Libby di Charlize Theron è un personaggio troppo in balìa di eventi raccontati in rapida successione per sviluppare davvero un’aura magnetica. La sua discesa negli inferi del trauma si sviluppa come un film nel film: il flashback è così invadente che l’effetto è piuttosto quello di due film in uno, che di un’indagine a ritroso. Attorno le si muovono sagome che contribuiscono ad un generale “effetto marciume”, ma che non paiono interagire in maniera convincente: il fratello mellifluo confinato nei pochi minuti del colloquio dietro una grata, il padre accattone e degradato, l’ex compagna del fratello instabile e malvagia.
Tutto, però, suona artificioso, difetta di evocazione cinematografica, pecca di audacia. Mancano, insomma, i condimenti ad un film dato in pasto come thriller fast food, più deprimente che diabolico, come vorrebbe essere (c’è più satanismo che cattiveria). Il cast supporta il film – oneste le interpretazioni della madre inguaiata Christina Hendricks e della giovane bruciata Chloe Moretz – ma il film non supporta il cast. Tanto per dire, dove finisce il bravo Nicholas Hoult, personaggio che sparisce nel nulla nelle battute finali?