Dark Places Nei luoghi oscuri

Dopo essere scampata al massacro della sua famiglia, Libby viene contattata da un gruppo che fa ricerche su casi irrisolti di cronaca nera. Libby riporta alla memoria quei fatti, arrivando a conclusioni diverse di quelle cui era giunta ai tempi del fatto.
    Diretto da: Gilles Paquet-Brenner
    Genere: horror
    Durata: 113
    Con: Charlize Theron, Nicolas Hoult
    Paese: USA, FRA
    Anno: 2015
5.6

È tutto flashback, ma non brilla molto Dark Places – Nei luoghi oscuri, debutto hollywoodiano del regista francese Gilles Paquet-Brenner: non bastano la stella un po’ spenta di Charlize Theron ed un’atmosfera incupita in stile Gone Girl di Fincher – altro film adattato da un romanzo di Gillian Flynn – quando la sceneggiatura brancola nel buio e risolve un po’ sbrigativamente certe fasi cruciali. Del discutibile andamento in chiaroscuro resta l’effetto di una qualche fascinazione visiva, ma la sensazione prevalente è che l’accattivante soggetto sia stato un po’ annacquato, puntando più sull’indovinello che su di un’attenta caratterizzazione.

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La famiglia Day è stata massacrata da tanti anni. Libby, all’epoca una bambina ed ora un po’ disadattata, ha quasi esaurito i fondi che l’hanno sostenuta per anni, per lo più donazioni pietose, ed a volte sembra preda di un esaurimento nervoso. Deve allora farsi forza ed accettare la grana del Kill Club, una singolare associazione di appassionati di cronaca nera che ripescano e risolvono vecchi casi. Per coadiuvarli, dovrà rivedere il fratello, in prigione da ventotto anni proprio per la sua testimonianza, e ripercorrere luoghi oscuri della memoria. Le cose si rivelano diverse da come aveva pensato, o rimosso.

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Nascosta sotto un cappellino con l’aria scorbutica, la Libby di Charlize Theron è un personaggio troppo in balìa di eventi raccontati in rapida successione per sviluppare davvero un’aura magnetica. La sua discesa negli inferi del trauma si sviluppa come un film nel film: il flashback è così invadente che l’effetto è piuttosto quello di due film in uno, che di un’indagine a ritroso. Attorno le si muovono sagome che contribuiscono ad un generale “effetto marciume”, ma che non paiono interagire in maniera convincente: il fratello mellifluo confinato nei pochi minuti del colloquio dietro una grata, il padre accattone e degradato, l’ex compagna del fratello instabile e malvagia.

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Tutto, però, suona artificioso, difetta di evocazione cinematografica, pecca di audacia. Mancano, insomma, i condimenti ad un film dato in pasto come thriller fast food, più deprimente che diabolico, come vorrebbe essere (c’è più satanismo che cattiveria). Il cast supporta il film – oneste le interpretazioni della madre inguaiata Christina Hendricks e della giovane bruciata Chloe Moretz – ma il film non supporta il cast. Tanto per dire, dove finisce il bravo Nicholas Hoult, personaggio che sparisce nel nulla nelle battute finali?

A proposito dell'autore

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Professore di storia dell'arte e giornalista pubblicista, professa pubblicamente il suo amore per l'arte e per il cinema. D'arte ha scritto per Artribune, Lobodilattice, Artslife ed il trimestrale KunstArte, mentre sul cinema, oltre a una miriade di avventure (in corso) da free lance, cura una rubrica sul quotidiano "Cronache di Salerno" ed in radio per "Radio Stereo 5".