Nell’impresa non da poco di resuscitare il cinema di genere nel nostro paese, dopo decenni di oblio, Stefano Sollima ha avuto un ruolo tutt’altro che marginale. Non sorprende allora che porti proprio la sua firma un prodotto che in quell’immaginario si radica e si espande come Suburra. Tratto dall’omonimo romanzo di Giancarlo de Cataldo e di Carlo Bonini, sceneggiato dai due autori assieme a Stefano Rulli e Sandro Petraglia e messo in scena, con un non indifferente lavorio di sintesi e rielaborazione espressiva, dal regista romano, il film parte da uno spaccato di storia italiana recente (i giorni immediatamente precedenti la caduta dell’ultimo governo Berlusconi) per allungare i suoi tentacoli criminali fino alla cronaca dei nostri giorni.
In Suburra, sin dalle prime immagini, sin dalla prima di una lunga serie di morti in una reazione a catena devastante e incontrollabile, realtà e invenzione romanzesca, realismo bruciante e suggestioni spettacolari convivono nella medesima inquadratura, mentre fuori una pioggia scrosciante si abbatte senza sosta sulle strade di una Roma notturna sull’orlo del baratro, a due passi da un’apocalisse ormai inevitabile. É un noir in piena regola questo romanzo criminale aggiornato ai nostri tempi, questo affresco corale e spietato di storie ai limiti , tra politici corrotti, puttane tossiche e delinquenti affamati e senza scrupoli, capace di disegnare, con ritmo implacabile, nel suo avvolgente e spettacolare intreccio di storie, un panorama di poteri, corruzione e violenza che abbiamo imparato a conoscere fin troppo bene dalle pagine dei giornali.
Dopo il controverso e potente esordio nel lungometraggio con ACAB in cui si poteva cogliere, tra le righe, già uno stile e una vena autoriale ben definiti e riconoscibili, è con le serie televisive che Sollima comincia a dar prova di saper maneggiare con cura una materia che, calata nelle solide strutture del genere, poteva dar vita a prodotti spettacolari dal respiro internazionale pur mantenendo la propria specificità. Suburra, assimilata la lezione di serie come Romanzo criminale e Gomorra, si può dire allora la summa di questa capacità, il punto di arrivo di una poetica che fa del rigore formale e della messa in scena empatica e suggestiva il suo maggior punto di forza, dove la fascinazione del male è sempre dietro l’angolo e lo spettacolo fa da contraltare a una presa di posizione non sempre chiara o definibile.
Non è un caso che il film sia tanto nichilista e crepuscolare, privo com’è di figure guida (il vuoto al Governo, il Papa che medita le dimissioni) o personaggi positivi di riferimento, in un mondo che non può che meritarsi solamente l’esperienza e la saggezza di un criminale di lungo corso come il Samurai di Claudio Amendola, spietata incarnazione e punto di incontro delle degenerazioni di un intero sistema, e dove persino la rivalsa nega qualsiasi catarsi in una discesa animalesca nell’abbrutimento e nella violenza. Ecco allora che al di là del gioco continuo di rimandi, in un cortocircuito inevitabile tra realtà e finzione, Suburra rifugge, violentemente e senza paura, qualsivoglia aspirazione critica, gettandosi tra le braccia di un immaginario mai così forte e promettente. Il nostro miglior cinema di genere riparte da qui.