Il contesto produttivo che ha indirizzato Sam Raimi verso l’ennesima produzione Marvel è simile a quella che condusse Tim Burton verso il rifacimento con attori di Dumbo (2019). Una caratterizzazione cinematografica del già visto, un rimestare intorno a immaginari saturi. E’ più saturo l’universo Marvel o quello Disney? Fatto sta che mettere in mano il progetto ai due maggiori metteur en scéne dell’intrattenimento autoriale degli ultimi 35 anni significa voler fare un salto di qualità. E così sia.
Con Doctor Strange nel multiverso della follia Raimi torna alla regia dopo ben nove anni, Il grande e potente Oz (2013) resta una grande opera di sfavillanti visioni, cui uno script migliore avrebbe dato maggior lustro, resta un tentativo più che valido di innovazione su materiali classici. Nel nuovo capitolo di Doctor Strange, si assiste alla padronanza di mezzi del regista di Darkman (1990) e Spider-Man (2002), annacquata come è successo al Burton di Dumbo, da effetti speciali che garantiscono la motivazione dell’esistenza del brand sul mercato odierno.
Cumberbatch è molto a suo agio (come Eva Green nei film di Burton: sostituire il divismo di Johnny Depp non era facile), più che nel film originario, dove era parzialmente oscurato dalla presenza di Tilda Swinton in versione santone. Le battute che gli vengono date stanno a indicare che Raimi non è stato messo lì a caso, è un cineasta capace di dirigere gli attori, per evitare che gli effetti visivi e il budget non sovrastino completamente l’architettura esistenziale del film.
Al povero Kosinski di Top Gun: Maverick è andata molto peggio, avendo dato una grandiosa prova di coraggio nella costruzione di una nuova potenziale epopea cinematografica ami partita con Oblivion (2013), testo tutto suo, tratto da una graphic novel da lui ideata, con il nuovo capitolo della superproduzione targata Cruise, non riesce a fare praticamente nulla, sta alla mercé delle star, viene guidato senza mai guidare, il suo sguardo non ha spessore, non è in grado neanche di divertirsi, come fa Raimi con molte sequenze di combattimento su Doctor Strange, e nemmeno di costruire feticci divistici, come fa Burton con Eva Green su Dumbo.
Questa è la differenza tra un mestierante senza nerbo e cineasti capaci di utilizzare i “giocattoli” messi a disposizione della major per creare mondi narrativi autorialisti.