Pare che Spielberg non sia più il padrone assoluto del box office. A fronte di 140 milioni di dollari, Il GGG, secondo fantasy della sua carriera (dopo l’altrettanto sfortunato al botteghino Hook – Capitan Uncino) ha incassato appena 55 milioni solo negli Stati Uniti, un tonfo per ora riassestatosi grazie agli incassi del mercato estero, e si attende ancora il responso italiano. Qualcosa deve essere andato storto. Probabilmente, in fase di marketing, l’assenza di attori di richiamo è stata determinante. Di fatto, neanche la presentazione Fuori Concorso a Cannes 2016 ha portato gloria. Il pubblico americano non ne voluto sapere di questa favola per famiglie, con un finale blando, dove i pochi nodi narrativi vengono sciolti in tutta serenità. Come se la dialettica good/evil a Spielberg interessasse fino ad un certo punto. Certo, il testo di partenza è di Roald Dahl e la sceneggiatura è di Melissa Mathison. Spielberg ha messo in scena un testo preso da un corpus narrativo non suo ma con il quale nutre comunque una forte affinità. Certamente, questo GGG è un film che contiene molti altri film al suo interno.
Nel GGG di Spielberg convivono, infatti, molte anime. Film meravigliosamente sbilanciato, straordinariamente indietro nel tempo e contro la contemporaneità, un portentoso intruglio di luci, musiche, parole inconvenienti e sotterranee, dove il creatore di E.T. sfodera la propria magnificenza visiva partendo dal senso più puro della meraviglia. Quello del GGG è un mondo incauto, nato dall’incandescente vapore di una sostanza allucinogena che ha il potere di far entrare in altri lidi. Spielberg dà idea di far cinema senza l’ansia che l’Academy Awards gli possa conferire un nuovo Oscar, e compone le sue sinfonie visive così come gli vengono, senza la necessità impellente di dover fare il film per tutti, senza dover dimostrare la propria stoffa di grande cineasta.
La prima parte del film svetta incontrastata nella nettezza fotografica di Janusz Kaminski, dove Spielberg si getta a capofitto nel regno dell’inconoscibile e della pura astrazione immaginifica. In seguito entrano in scena gli antagonisti che daranno nerbo alla dialettica furiosa e la trama drammatica perde un po’ del suo meccanismo di pura fascinazione. Essendo, infatti, Il GGG un film sul potere del cinema di creare illusioni, Spielberg è attento nella raffigurazione di un antagonismo spiccio, nella figura dei giganti cattivi, che si contrappongono al GGG, togliendogli la sua capacità di creare gli strumenti dell’illusione. La favola riecheggia dolce e di ammirevole intensità ogni volta che il punto di vista si sposta sul personaggio della ragazzina Sophie, l’unica in grado di risolvere i problemi del GGG con i giganti cattivi. Il suo punto di vista è il nodo narrativo di una vicenda antica come il cinema.
La risoluzione del conflitto in GGG chiede allo spettatore un salto quantico all’indietro, dando libera espressione alla fanciullezza dell’intera operazione. Cinema per famiglie orgoglioso di esserlo, cinema classico e direttamente post datato, che illumina la filmografia di Spielberg, lasciando deragliare un sentimento naturalistico e pavido. La creazione dell’immaginario spielberghiano deve fare i conti con uno script tagliato su misura per una letteratura sacra dove il languido potere del cosmo infantile diventa vettore di una conoscenza innata.