Anche la saga di Hunger Games è giunta al termine. Lawrence (Francis) torna a dirigere Lawrence (Jennifer) nell’episodio conclusivo della saga che ha scatenato la distopia-mania. Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte II riprende senza troppe cerimonie nel punto esatto in cui il precedente si era interrotto: la protagonista è in un’infermeria del distretto 13, ha il collo ricoperto di lividi e non riesce quasi più a parlare. La trama è quella che ci si aspetterebbe da un capitolo finale di una trilogia: Katniss insorge, il popolo insorge, si combatte per la libertà. Per fortuna, la saga di Hunger Games è sempre riuscita a prendere luoghi comuni della narrativa d’azione e riportarli a nuove forme.
Il pubblico di mezzo mondo, se escludiamo la buona fetta che ha divorato i tre libri di Suzanne Collins, si aspettava una epica battaglia finale che portasse i distretti alla tanto agognata vendetta. Invece Mockingjay ci porta dove vuole arrivare per insolite strade. La guerra c’è, non sarebbe potuto essere altrimenti, ma è narrata da lontano e con paura. La storia non si allontana mai dal punto di vista della nostra eroina, costretta a seguire la guerra ben lontano dalla prima linea perché, in quanto simbolo della rivoluzione, la sua vita vale ben di più di quella di tutti gli altri soldati. Ovviamente Katniss, per buon cuore o per un compulsivo bisogno di disubbidire alle autorità, cerca di infilarsi il più vicino possibile al fronte nemico per uccidere di sua mano il presidente Snow. In questa guerra non ci sono grandi eroi o grandi sacrifici; ci sono solo spargimenti di sangue e persone che muoiono come mosche.
La guerra di Mockingjay sembra raccontata più come un horror che come un war movie. Il ritmo è dolorosamente lento ma mai noioso, teso come una corda di violino. Se il regista avesse spinto questo pedale fino in fondo avremmo avuto uno dei migliori episodi conclusivi degli ultimi anni. Purtroppo, invece, l’angoscia costruita durante le scene di attesa viene fatta esplodere in battaglie da fantascienza con i mostri di Capitol City. Il libro diceva questo, d’altro canto, ma sono una ferma sostenitrice degli adattamenti liberi e se Francis Lawrence avesse deciso di allontanarsi dalle pagine del testo e tagliare tutti questi grotteschi scontri, saremmo usciti dalla sala pallidi per l’angoscia. Invece le scene di effettivo combattimento guastano il tutto, cancellando quella sensazione di verità che il resto del film trasmette magistralmente. Non racconto più nulla sulla trama, anche se l’arco narrativo di questo film potrebbe essere riassunto in una manciata di parole.
In conclusione: Mockingjay è un film decisamente riuscito, sebbene abbia qualche caduta di stile (ma siamo pronti a perdonare molto dopo i primi due riuscitissimi capitoli). Jennifer Lawrence è, come sempre, di una bellezza lancinante e di altrettanta bravura; questa saga si regge davvero sulle sue spalle. Ora non ci resta che aspettare che qualche coraggioso regista sdogani la possibilità di adattare i libri senza dover seguire pedissequamente ogni risvolto della narrazione. Se solo qui lo avessero fatto! Come biasimarli: una folla di fangirl impazzite sarebbe ben più terrificante di tutti gli ibridi di capitol city.