Vizio di forma sembra che non inizi e non finisca. Lo sguardo distratto, perso davanti a sé di Doc Sportello, a metà tra il distratto e il sognante, apre e chiude un film che sembra vivere dentro a una nuvola, fumoso e inafferrabile, ermetico e astratto. Il talento registico pazzesco di Paul Thomas Anderson si afferma un’altra volta, prepotentemente: per rendere lo status dello stordimento dovuto alla “fattanza” per consumo di droghe leggere, il regista americano non rinnega il suo stile classico, misurato, ma si limita ad alcuni piccoli accorgimenti in grado di trasmettere, in maniera costante, una confusione fisica ed esistenziale. Quello che vediamo sullo schermo è un noir lisergico, un Raymond Chandler che ha abusato eccessivamente di marijuana. Da questo punto di vista, la riscrittura del romanzo di Thomas Pynchon è geniale: pur rimanendo fedele al testo, immerge lo spettatore negli occhi e nell’animo disilluso del suo protagonista, che nel libro sembrava avere un ruolo più ornamentale.
L’impressione è che la complessità delle sotto trame sia esclusivamente finalizzata ad aumentare la fumosità dell’intera pellicola. Progressivamente, nomi e situazioni si sovrappongono rendendo sempre più difficile lo scomponimento del puzzle narrativo; ciononostante, più l’intreccio si fa intricato, più appare manifesto l’intento di Paul Thomas Anderson di descrivere un passaggio storico cruciale della storia degli Stati Uniti d’America: quello della lenta e malinconica fine della controcultura e, parallelamente, dell’ingresso devastante e corruttore della macchina capitalista. Il detective privato Sportello è l’ultimo degli hippie: accanito fumatore di erba, portatore di un’idea romantica di investigazione che si contrappone alle maniere brusche e violente della polizia. Nel suo vagare ed essere testimone del cambiamento dei tempi, conserva un sentimento forte per la sua ex ragazza, si tiene lontano dal consumo di eroina e il suo passo procede sempre in maniera rilassata, senza fretta, accompagnato da una tristezza stordita e scivolosa.
Di fronte a Sportello, ecco una società che sta per omologarsi, che ha rinunciato alla ribellione e all’anticonformismo, sedotta e poi schiavizzata dal potere ricattatorio dell’eroina e da chi la produce, e la commercia. Per quanto la vicenda sia costellata di innumerevoli personaggi, l’unico vero contraltare di Sportello è questa Golden Fang, una nave oscura e misteriosa che non è altro che un cartello dell’eroina e un’associazione per evasori fiscali. Sportello entra in contatto con essa, con i suoi burattinai e le sue marionette, assiste, constata: si ribella a essa a modo suo, andando avanti per la sua strada, sempre più consapevole di appartenere a un luogo solitario, a un’isola che non doveva essere contaminata dalle istituzioni, dai poteri forti, dal conservatorismo. A tal proposito, la scena da portare nel cuore di Vizio di forma è quella in cui Sportello riporta a casa lo sciroccato Coy Harlingen e lo vede riabbracciare la moglie e la figlia: lui non si muove, rimane in macchina seduto a osservarli, accenna un saluto pacifista a entrambi, e si rimette al volante per una destinazione che non è in grado di conoscere.
Il “vizio di forma” (o, più correttamente, “vizio intrinseco” secondo il titolo originale) è quello che appartiene al capitalismo e al suo sistema, in grado di espandersi a macchia d’olio e di poter prendere il controllo di qualsiasi area, di far scomparire qualsiasi ideale, presentandosi sotto mentite spoglie. Così, il film rientra a pieno titolo nella poetica di Paul Thomas Anderson, legandosi, in modo particolare, a Boogie Nights (che raccontava la sconfitta di una generazione, dal punto di vista del mondo del porno), a Il petroliere (la genesi del trionfo definitivo del capitale), e a The Master (la necessità dell’anima persa di trovare conforto e rassicurazione). Forse, questa volta la resa cinematografica è stata meno accessibile delle altre, a tratti eccessivamente scollegata nelle sue parti; ciò non toglie che nessun altro regista al mondo possiede il respiro epico, la grandiosa forza di raccontare le debolezze umane di Paul Thomas Anderson.