Ecco tornare sugli schermi un film scritto e diretto dall’irlandese John Carney, che aveva sorpreso anni orsono con la commedia sentimental-musicale Once. Nella sua trasferta newyorkese di Tutto può cambiare ha trovato l’appoggio del produttore esecutivo Judd Apatow, solitamente abituato a maneggiare lavori dal piglio più comico e demenziale. L’incontro tra i due, sulla carta stimolante, non ha dato i risultati sperati, rivelandosi una versione del precedente film di Carney americanizzata e fasulla, relegata sul binario modaiolo di un romanticismo indie un po’ artefatto e prevedibile.
La bella Gretta è reduce da una tormentata storia d’amore con il cantautore Dave e conosce Dan, un produttore discografico una volta di successo, oggi in crisi economica ma che non si risparmia qualche eccesso alcolico. Dan intravede in Greta una possibile stella dell’industria musicale e insieme mettono in atto il progetto di registrare un album per le strade della Grande Mela. Per entrambi, si tratta dell’occasione del riscatto. Gretta si riavvicinerà all’ex fidanzato e avrà la possibilità di incidere il suo primo disco, Dan si riproporrà come talent scout di artisti in grado di garantire qualità e appeal commerciale e si riabiliterà agli occhi della figlia e della ex moglie.
Seppure siano presenti alcuni ingredienti per costruire una commedia romantica intelligente e in grado di non offendere l’intelligenza dello spettatore, Tutto può cambiare delude a causa di una sceneggiatura scontatissima, priva di mordente, che sfiora la possibilità di ironizzare sulle contraddizioni dell’industria musicale ma che si rifugia nella descrizione di un rapporto d’amicizia tra un uomo e una donna senza alcuna originalità, senza alcuno scavo psicologico serio, delineando due protagonisti che rimangono immobili nelle loro caratterizzazioni: Gretta è una aspirante cantante idealista, che sembra la stessa sia nei momenti difficili che in quelli più soavi; Dan è un gigione un po’ cinico e alcolizzato, sfattissimo per tutta la durata del film.
A poco servono le belle interpretazioni di Mark Ruffalo e della divina Keira Knightley. Purtroppo, i loro personaggi sono troppo piatti per creare vero interesse e il loro rapporto resta sempre insipido, a causa di una scrittura indecisa se rivolgersi alle tipiche dinamiche della storia d’amore oppure a quelle dell’amicizia ambigua tra uomo e donna, destinata a non realizzarsi mai completamente. Alla fine, l’insicuro Carney sembra che preferisca tentare una riflessione sugli incontri imprevedibili che può riservare il Destino, e sull’aiuto che può provenire da una relazione sincera, solidale con un individuo dell’altro sesso. Peccato che gli strumenti intellettuali per realizzare un’opera di questo tipo siano completamente assenti, a cominciare dall’utilizzo di dialoghi improbabili e plastificati.
Rimangono soltanto le belle canzoni pop-folk sussurrate dall’amata Keira, che convince anche a livello canoro: l’ennesima dimostrazione di un’attrice versatile come poche, capace di passare indifferentemente da ruoli in costume di matrice drammatica (Espiazione, A Dangerous Method, Anna Karenina) a quelli della commedia leggera e non troppo impegnata (Love Actually, Cercasi amore per la fine del mondo), da action movie (Domino) a inni di inquietudine generazionale (Non lasciarmi). Tutto può cambiare è indubbiamente uno dei titoli meno riusciti della sua già eccellente e densa filmografia, ciononostante si tratta comunque dell’unica vera nota di interesse di un filmettino senza sapore.