Prisoners

Due bambine scompaiono in un piccolo paese della provincia americana. Il padre non si dà per vinto e inizia le indagini per conto suo. La madre entra in uno stato di disperazione. Il Detective Loki indaga nella provincia, cercando di far luce sul mistero.
    Diretto da: Denis Villenueve
    Genere: thriller
    Durata: 153'
    Con: Jake Gyllenhaal, Hugh Jackman
    Paese: USA
    Anno: 2013
7.3

Il precedente film di Denis Villeneuve, La Donna che Canta (Incendies, 2010) era un temibile “film da festival”: quel genere d’opera che appesta le sale d’essai, quelle poche rimaste, facendo credere agli spettatori di avere visto un capolavoro per l’importanza e (spesso) la scabrosità dei temi trattati.
Ve ne sono innumerevoli esempi, per restare all’ultima stagione direi che Il Sospetto (Jagten) di Thomas Vinterberg ne è un rappresentante con tutti i crismi.

Con Prisoners il 45enne regista canadese tenta invece una nuova sfida, e lo fa nel segno del genere. Che forse non è semplicemente il thriller, ma una sorta di “kidnapping movie” che solo negli ultimi anni conta esemplari notevoli quali Changeling (2008) di Clint Eastwood (e meno notevoli, a dire il vero, quali Io Vi Troverò e Io non ho paura).
Quello che si nota e si fa apprezzare maggiormente, in Prisoners, è paradossalmente l’incoerenza stilistica dell’intera operazione. Villeneuve non sembra cambiare registro rispetto al film precedente, tanto che da buon auteur si sofferma principalmente sugli interrogativi morali e sui risvolti metaforici della storia, dinanzi ai quali sacrifica spesso il ritmo, dilatando perciò la durata oltre le due ore e mezza (ma stando alle sue dichiarazioni avrebbero potuto essere tre e più).
L’effetto è quello di creare un film dal profilo quantomeno duplice che, volta a volta e a seconda degli snodi della trama, ha le sembianze di un thriller con ambizioni o di un dramma con implicazioni poliziesche.
La descrizione della laconica e indifferente provincia americana è fortunatamente senza sconti e la fotografia del sempre eccellente Roger Deakins cattura in pieno il clima morale in cui i personaggi interpretati da Hugh Jackman e Jake Gyllenhaal annaspano faticosamente: un’accidia di fondo che li manda in pezzi non appena si trovano a fronteggiare eventi che ne mettono in discussione lo status (di padre amorevole e protettivo il primo, di detective abituato a risolvere ogni caso il secondo).
E anche se le esigenze del plot reclamano una soluzione che suona un po’ lambiccata e spiega pressoché tutto con una logica che non soddisfa (perché il Male non è razionale né sociologicamente inquadrabile come vorrebbe una vulgata in qualche modo ottimista e assai abusata, a cui lo script di Aaron Guzikowski sembra infine adeguarsi e piegarsi), il ritratto delle contraddizioni in cui annegano questi uomini senza “centro” fuori dal proprio quotidiano è ugualmente amaro e in ultima analisi più sentito di quello che ne propongono alcuni registi che vanno per la maggiore nella considerazione generale (un nome per tutti: Derek Cianfrance, i cui Blue Valentine e Come un Tuono hanno ricevuto osanna esageratissime).
Denis Villeneuve non avrà, almeno per adesso, una personalità di autore innovativo ed è tutto da dimostrare che sia un nome su cui scommettere per il futuro; ma film come Prisoners non deludono chi cerca ancora un cinema che coniughi impegno e spettacolo.

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Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...