Tempo presente. Un uomo si mette in viaggio, in auto, in piena notte, tenendosi in collegamento telefonico per tutta la durata del viaggio. In un'ora e mezza parlerà con sua moglie, con i colleghi di lavoro e con una donna che sta per partorire. La sua vita cambierà radicalmente.
Diretto da: Steve Knight
Genere: drammatico
Durata: 85'
Paese: UK, USA
Anno: 2013
Ivan Locke è in macchina e sta per tornare a casa: il viaggio in auto si prospetterà decisivo per la sua vita. Ivan decide di fare una scelta che metterà a repentaglio la sua carriera, la sua stabilità familiare e la sua stessa dignità. 85 minuti, una macchina, Tom Hardy. Tempo spazio e azione. Un solo attore in solo set in un tempo limitato. Si può sintetizzare così Locke (2013), opera seconda dello sceneggiatore Steven Knight (Piccoli affari sporchi, La promessa dell’assassino), accolta con entusiasmo al Festival di Venezia del 2013, dove è stato presentato Fuori Concorso.
Lo spunto della messa in scena di Locke non è certamente originale, basti pensare a casi recenti come 127 ore (2011) o Buried – Sepolto (2010), ma Steven Knight riesce a evitare le trappole di una scelta stilistica così radicale, realizzando un’opera tesa e dalla riuscita progressione narrativa e drammaturgica.
Registicamente composto da poche inquadrature degli interni della macchina-set e del volto dell’attore protagonista, Locke si affida totalmente a quest’ultimo, un Tom Hardy, già apprezzato altrove (Bronson, Inception, Il Cavaliere Oscuro Il Ritorno), ma che qui regala a se stesso e al pubblico l’interpretazione che vale la carriera, cambiando tono di voce e atteggiamento per ogni nuovo interlocutore con cui sta interagendo nelle telefonate, espediente scelto dal film per far progressione della trama.
Il suo Ivan Locke è un costruttore edile, ferreo e coerente nei comportamenti. La sua stoica morale, il codice d’onore e il suo senso di responsabilità che lo pervadono, sono talmente forti da essere controproducenti per se stesso, ma come ripete più volte a se stesso e ai colleghi di lavoro, “ho preso una decisione”.
E negli 85 minuti di durata di Locke gli spettatori sono soli nella macchina con lui, unico personaggio del film, concentrato per tutta la durata del viaggio, impegnato nel tentativo impossibile di sistemare la sua esistenza, stravolta da quella decisione. Locke è solo e l’unico contatto che ha sono le telefonate e la voce di altri. Dal suo abitacolo-microcosmo prova a gestire il proprio lavoro, la propria famiglia e la propria scelta.
Di queste tre strade, nel suo viaggio letterale e metaforico, Locke riuscirà a prenderne solo una e mentre il film si infittisce nel ritmo e nella tragicità delle chiamate, capiamo quale sarà la sua decisione e quale strada prenderà la sua vita.
Ma se Locke è tecnicamente indiscutibile, un thriller morale ben fatto, l’impressione di vedere cinema da accademia, realizzato in automatico, più attento al formalismo che al contenuto.
La messa in scena affascina per perizia tecnica, ma non riesce mai ad assumere un vero senso etico, con una vicenda che, per quanto forte e con grande potere di immedesimazione, non riesce mai a esplodere nel cuore dello spettatore, che rimane catturato dal come (la forma) ma abbandonato dal cosa (il contenuto).
La messa in scena affascina per perizia tecnica, ma non riesce mai ad assumere un vero senso etico, con una vicenda che, per quanto forte e con grande potere di immedesimazione, non riesce mai a esplodere nel cuore dello spettatore, che rimane catturato dal come (la forma) ma abbandonato dal cosa (il contenuto).