Francia, anni '70. Gilles è un diciassettene si divide tra le aspirazioni artistiche, le tendenze violente dei compagni di estrema sinistra e i dubbi sulla rivoluzione sessantottina. Gilles arriverà capire fino a che punto l'ideologia politica potrà influenzare nel suo percorso personale di formazione.
Diretto da: Olivier Assayas
Genere: drammatico
Durata: 122'
Con: Clément Métayer, André Marcon
Paese: FRA
Anno: 2012
Il maggio del ’68 è uno di quei periodi cruciali che ha fatto sognare più di una generazione. Quella che l’ha vissuto, per prima, che attraverso proteste, manifestazioni, atti di rivolta voleva cambiare le cose, agire nell’interesse proprio e del proprio mondo; e le generazioni successive che hanno visto negli atti dei loro padri un’ideale a cui aspirare, o anche più banalmente uno stile di vita libero e senza condizioni da mantenere. Va da sé, quindi, quanto questi anni, questi fatti, abbiano influenzato il cinema, a partire ancora una volta da quell’epoca stessa, fino ad oggi, con rivisitazioni, ambientazioni e approfondimenti che mai smettono di attirare il pubblico.
Olivier Assayas con il suo Qualcosa nell’aria (Apres Mai) ci porta nell’occhio del ciclone, in Francia, nel ’68 con i giovani che prendono coscienza, che si organizzano attivamente per vedere riconosciuti diritti, per spianare il loro futuro ancora incerto. Lo fa attraverso lo sguardo di Gilles, giovane artista, che una strada ancora non l’ha trovato. La sua arte, priva di una vera identità, malleabile a seconda del pittore studiato, è un’immensa metafora della sua stessa vita, che viene trascinata nell’amore e nella politica.
Partecipe di azioni sovversive con il suo gruppo, il ragazzo si ritroverà improvvisamente a dover fuggire dopo che un’agente di polizia finisce in coma a seguito di un inseguimento, capitando in Italia, alla ricerca di pace, sì, ma anche di una strada da perseguire. Il suo stesso cuore si fa insicuro, diviso tra due donne: la semplice e amabile Christine, e la più misteriosa e affascinante Laure, primo vero grande amore, e tra più arti: la pittura, la televisione, il cinema.
Nel raccontare tutto questo, la sceneggiatura di Assayas, premiata a Venezia con il Premio Osella, non riesce però ad approfondire i vari protagonisti, lasciandoli privi di quel peso storico con cui sarebbero più interessanti. Il tutto sembra infatti scorrere senza quel ritmo necessario, senza quella fluidità che i vari spostamenti di Gilles richiederebbero e che sembrano così pezzi di un puzzle non uniforme. Ad aiutare non è poi la componente femminile, relegata sullo sfondo con frasi banali e prive di coinvolgimento, che nell’abbandonare, o nel farsi abbandonare da Gilles mancano di emotività andando a parare con frasi fatte senza forza.
Fortunatamente, a salvare la questione è il lato tecnico del film, con una fotografia luminosa e nitida che va a immortalare momenti ed esperienze con il tempo diventati un cliché: la vita in comune, i viaggi zaino in spalla, le feste libere cariche di droga assumono così un significato finalmente contestualizzato nei loro anni, aiutati da un’estetica suggestiva.
Nel percorso non previsto che la vita di Gilles si trova a percorrere, e che noi con lui seguiamo tra viaggi, sbandate e lavori provvisori, tutto ha infine un senso con l’incontro con il cinema, che rende il film interessante per il discorso che solo abbozza, mostrando la formazione di un filone sperimentale pronto ad esplodere. Apres Mai sembra così ricalcare la generazione e il protagonista che vuole raccontare, alla ricerca di un’identità, difficile da inquadrare e fermare.