Straordinaria, quest’ultima perla del cinema d’animazione francese, scoperta dalla Quinzaine des Realizateurs, al Festival di Cannes del 2012. Ernest e Celestine parla di due personaggi all’antitesi tra di loro, una topolina disegnatrice e un orso, clown frustrato. Vivono in due mondi paralleli e isolati, uno agli antipodi dell’altro, separati dall’interfaccia del suolo. Il mondo della topolina è nei sotterranei, nelle fogne (arredate però in maniera ingegnosa e lussuosa dalla colonia dei topolini) e il mondo degli orsi è invece è una rappresentazione antropomorfizzata del nostro.
La fiaba di Daniel Pennac è molto lieve, leggera, malinconica, gentile, può ricordare lo stile di autori francesi come Sylvain Chomet e persino Jacques Tati. Il lavoro compiuto dalla triade di animatori Audier, Patar, Renner risponde ad una esigenza di minimalismo e di semplicità di tocco.
Ernest e Celestine parla della incomprensione delle rispettive società (a cui appartengono i due personaggi), davanti ad una relazione di questo tipo, una relazione tra due personaggi appartenenti a livelli antitetici tra loro, un legame che nasce inizialmente da uno scontro (l’orso Ernest sta morendo di fame, trova per caso Celesine in un bidone della spazzatura e la vorrebbe mangiare), per poi svilupparsi attraverso una lenta e progressiva conoscenza di sé, che si tramuterà in un amore impossibile, che viene trattato in modo molto delicato, ma adatto a qualsiasi tipo di pubblico.
L’intero impianto narrativo non sconta mai un attimo di tregua, il film è sorretto da un’ottimo ritmo cadenzato, dove gli 80 minuti trascorrono con uno stile classicamente pieno e circolare.
E’ una fiaba a lieto fine, senza inutili sberleffi, con una critica feroce diretta alla società odierna, la relazione tra l’orso Ernest e la topolina Celestine viene trasfigurata in un rapporto che nella realtà potrebbe far pensare ad una coppia di fatto.
Guardando allo stile, si può dire che il modo in cui viene rappresentato l’universo sociale dei topi è basato su invenzioni visive che hanno del miracolose: tutto nella città sembra essere stato partorito da un geniale Leonardo in miniatura, ogni minima cosa è essenza di complessità e di tecniche sofisticatissime. Il quadro complessivo che ne deriva lascia davvero stupefatti. Qui non siamo a casa Pixar, ma le cose vengono fatte ugualmente per il puro gusto di stupire. Anche senza l’utilizzo di ingenti capitali.
Rispetto al genio inarrivabile di uno Chomet, questo Ernest e Celestine ha una composizione meno audace e snob, è più un film ad altezza di bambino e, forse, si tratta anche di un film meno formalista e più concentrato sui risvolti, anche politici, della vicenda. E’ sicuramente un’operazione che deve far riflettere in questo senso, il film tratto da Pennac. Un film in cui si afferma l’importanza delle diversità nasce dall’esigenza di riscrivere la realtà, mette in dubbio un ordine precostituito delle cose, lascia lo spazio al mutamento dei sentimenti, ad una cosmogonia degli eventi in cui si possano sempre rivedere gli eventi da un punto di osservazione ogni volta differente.
Ernest e Celestine offre una visione “piccola” del mondo, riflette sulle inadeguatezze del singolo a farsi strada in una società, nella quale non si sente appagato o felice. Parla anche di una certa schiavitù mentale a cui le categorie sociali vengono in qualche modo costrette, per le quale, però, in questo caso, la topolina Celestine, anche grazie al potere della sua arte, riesce a venire a capo: perché è grazie all’arte che si è liberi di esprimere la propria visione del mondo.
Questo viene espresso senza tanti proclami e con un gusto per una certa geometria visiva, molto sfumata, che conduce in un luogo intimo dove, alla fine, ci si ricorda di essere già stati, anche se lo si era dimenticato. Questo piccolo gioiello francese serve a ricordarlo.