Al tramontare del secondo millennio, il giovane avvocato Randy Schönberg, nipote del celebre compositore austriaco, si prende a cuore il caso dell’anziana Maria Altmann, la quale vorrebbe vedersi restituire il Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, in temperie nazista sottratto alla sua famiglia, di fede ebraica. Il Klimt da oltre 100 milioni di dollari diviene motivo di aspre contese tra la legittima proprietaria e i legali del Belvedere viennese, ove l’opera era stata collocata in tempo di pace, che faranno approdare entrambe le fazioni alla Corte Suprema statunitense.
Il regista londinese Simon Curtis, muovendo dal suo Marilyn del 2011, con Woman in Gold insiste sul genere storico-biografico portando in scena un risvolto singolare delle vergognose razzie perpetrate durante il decennio nazional-socialista, che ancora nella contemporaneità mitteleuropea non hanno smesso di fomentare strenue difese di tesoretti e iconici patrimoni, a costo di tracciare uno spaccato irrealistico del secolo passato. La figura spigliata e gustosa di Maria, ad un’età veneranda ancora presa nell’economia del suo modesto negozio a Los Angeles, è affidata allo stile elegante e raffinato di un’Helen Mirren evergreen, che duetta, con sicurezza e senza rinunciare ad una vena dolorosa e malinconica saggiamente circoscritta, assieme Ryan Reynolds, giovane di bell’aspetto, pulito e tenace nella vicenda, paladino che mette a repentaglio addirittura la serenità della propria famiglia pur di assestare un colpo decisivo alla sua carriera giuridica, osteggiata da alcuni, forte anche del solido legame che lo lega alla sua cliente: l’identità culturale e nazionale.
La dicotomia temporale su cui è fondato l’intero film ripercorre con ritmo convincente la biografia della Altmann, incarnando pertinentemente ricordi di un’epoca dallo splendore lontano, in cui sono radicati affetti perduti e demoni potenti, che possono venir confluiti in una catarsi (desiderata nel profondo) solo facendo ritorno in quei luoghi dove la storia è stata scritta, col sangue e le lacrime della stirpe antica. L’intento rappresentativo è nato quindi indubbiamente sotto una buona stella; peccato che il montaggio risulti a tratti un po’ frammentario, difetto da addursi anche alla sceneggiatura perlopiù solida, ma purtuttavia corriva quando si sarebbe potuto facilmente evitare. Apprezzabili le ricostruzioni d’ambiente, che riescono a non rimanere meramente sullo sfondo, bensì ad entrare nelle dinamiche narrative; dovuti gli omaggi musicali, fra gli altri, all’Arnold Schönberg della “Verklärte Nacht” e ad Ernst Bloch, compositore che più di altri ha dimostrato sentimenti di fratellanza nei confronti della gente e del patrimonio etnico ebraici.
Qui potete trovare la video recensione di Raffaele Lazzaroni su Woman in Gold