Presentato a Cannes 2014 e a Toronto, Viviane è la storia di una donna – una delle tante – alla ricerca della propria libertà. Viviane Amsalem, che da tre anni ha lasciato il domicilio coniugale per incompatibilità con il marito Elisha, fa richiesta di divorzio; ma il processo è lungo, estenuante, frustrante. Elisha strategicamente non si presenta alle udienze e, di conseguenza, Viviane è costretta ad attendere.
Il tutto si ambienta in un’aula di tribunale; due stanze, pochi attori, moltissimi primi piani, colori cupi, giochi di luci e un solo filo conduttore: una firma del marito. Entrano ed escono testimoni, vi sono continue arringhe da parte degli avvocati e dei coniugi, impeccabili inquadrature di volti colmi di speranza o di rassegnazione. Quel che torna sempre come un’eco assordante è questa frase pronunciata da Viviane: «Elisha dammi la mia libertà, voglio la mia libertà».
Nel 2011 il regista iraniano Asghar Farhadi in Una Separazione aveva già toccato questo tasto dolente; ma nel film diretto da Viviane di Romit Elkabetz e Shlomi Elkabetz si aggiungono sfumature concernenti un ritratto psicologico e culturale importante. La sfinitezza di una donna provata dai lunghi anni, durante i quali le lancette dell’orologio scorrevano ma le sue carte non venivano giammai firmate, non è sufficiente per farla demordere. Sicché, la scarsa attenzione per la sua causa, ove le ragioni erano ritenute infondate, la costringono a restare in bilico tra la sua volontà e la burocrazia.
In Italia lo abbiamo ottenuto nel 1970, in Israele, invece, divorziare è ancora difficilissimo. Soprattutto quando non vi sono motivazioni estremamente valide, la donna è tenuta a rispettare suo marito, curare i suoi figli ed accettare la sua condizione. Nel tribunale le ripetevano spesso che, poiché Elisha soddisfava i suoi bisogni in quanto padre dei loro figli e marito, era il caso che Viviane continuasse a stare al suo fianco, serenamente.
Ma c’è una donna alla base di tutto ciò. Una donna che desidera vedere realizzati i suoi sogni, che brama all’idea di poter essere libera. Viviane non lo sa – non ancora almeno – ma la sua libertà sarà sempre e comunque limitata, vigilata, oculata e, una libertà vigilata non è la libertà; sebbene sia il primo passo per ottenerla. Sarà solo il giusto compromesso tra chi non vuole più le catene ma, al contempo, non può procurarsi realmente i piaceri della vita, volando per lidi e mari senza dover dar conto a nessuno. Perché di base lei – e come lei la donna – è sempre e comunque un possesso dell’uomo.