Uno dei grandi eventi che ha caratterizzato l’ultima Mostra Cinematografica Internazionale del Cinema di Venezia è stato il ritorno in grande spolvero di Al Pacino, presente al Lido per presentare ben due nuove pellicole. La prima, selezionata tra le opere in Concorso, è stata Manglehorn di David Gordon Green, nel quale interpreta un ferramenta solitario e nichilista, ai margini della società. La seconda, forse più attesa, è The Humbling di Barry Levinson, regista di Rain Man e Sleepers, certamente non un nome nuovo del cinema americano.
Quest’ultima è l’adattamento del romanzo di Philip Roth L’umiliazione, che racconta la vita piatta e avara di emozioni del sessantenne Simon Axler, attore in crisi di identità, oltre che in evidente declino psico-fisico. Questo accade fino al momento in cui non bussa alla sua porta Pegeen, la figlia di due suoi vecchi amici e vicini di casa, ora trentenne, da sempre innamorata di lui, che torna prepotentemente per coronare il suo sogno d’amore di quando era bambina. Pegeen rivitalizza lo stato d’animo di Simon, che sembrava irrimediabilmente disilluso, al punto da fargli tornare la passione per il teatro, la voglia di tornare a recitare sul palcoscenico. Peccato che il graduale riavvicinamento di Simon alla recitazione sia parallelo alle prime difficoltà con Pegeen, e al distacco sempre più marcato ed evidente dell’attore dalla realtà.
Rispetto al personaggio di Manglehorn, il Simon Axler di The Humbling è sicuramente un alter-ego che si adatta maggiormente per una riflessione meta cinematografica. L’Al Pacino di oggi è un attore che non ha più bisogno di dimostrare niente, che potrebbe aver perduto lo stimolo di un tempo, il fuoco del palcoscenico e dell’interpretazione. Da questo punto di vista, deve essere riconosciuta al film una valenza personale, sincera e amara, ed un coraggio notevole da parte di Pacino di impersonare un ruolo che lo spettatore potrebbe, così ,ricondurre anche fuori dallo schermo. E il risultato è quello di una performance straordinaria, mattatoriale, trascinante.
Detto questo, non possono non essere riconosciuti i limiti evidenti di questo film. Innanzitutto, il tema del doppio, dell’attore incapace di riconoscere e di tenere distanti la realtà dalla finzione non è soltanto inflazionato ma viene accennato e mai veramente sviluppato. Inoltre, per quanto alcune singole situazioni siano certamente divertenti (in primis, il personaggio della “groupie-stalker” che supplica Axler di ucciderle il marito), il susseguirsi delle vicende è prevedibilissimo e senza sorprese. Per non parlare del finale tirato via, confuso, che chiude in maniera grossolana e un po’ patetica il rapporto tra Simon e Pegeen, interpretata da una brava Greta Gerwig.
Seppur lontano dall’essere un lavoro privo di difetti, di Levinson avevo preferito Disastro a Hollywood (2008), una satira sul mondo dello star-system hollywoodiano senza troppe pretese. The Humbling mi è sembrato un tentativo autoriale ben poco definito, che spesso e volentieri si rifugia in un citazionismo scespiriano per nascondere la reale mancanza di idee e di guizzi narrativi.