Un ragazzo e una ragazza rimangono soli in un appartamento a Taiwan, mentre nella città si diffonde una misteriosa epidemia. Il ragazzo spia la ragazza attraverso un buco nel pavimento. Le rispettive solitudini sono forse destinate ad incontrarsi.
Diretto da: Tsai Ming Liang
Genere: musical
Durata: 95'
Con: Kuei-Mei Yang, Kang-sheng Lee
Paese: TAIW, FRA
Anno: 1998
Fare un musical oggi è tutt’altro che facile. Ci sono gli epigoni come Pene d’amor perdute (2000) di Kenneth Branagh, Dancer in the Dark (2000) di Lars Von Trier e il mai abbastanza celebrato Moulin Rouge! (2001) di Baz Luhrmann, vero e proprio exploit del genere, degno dei classici del passato.
Quando nel 1998 Tsai Ming Liang si cimentò nel genere, con The Hole Il Buco, accettò la scommessa dell’elaborazione di un mix tra autorialismo spinto e esercizio divertito della spettacolarità.
Ne uscì un’opera curiosa, capita probabilmente solo dai fan, in cui il musical viene maltrattato perché inserito in una cornice del tutto vuota, immobile, sibillina, degna di un dramma sull’incomunicabilità di Antonioni.
Tsai Ming Liang può essere considerato un Antonioni asiatico, un autore venerato dai festival che basa la sua poetica sul fraintendimento spaziale, utilizzando come arma di comunicazione l’asse distanziale tra gli attori, in cui si avverte lo scarto emotivo tra di essi, inteso come luogo di mancata percezione di un mondo condiviso all’interno del quadro mai in movimento.
The Hole Il Buco è a tutt’oggi il film meno complicato di Tsai, il più accessibile al pubblico, dove interviene in maniera più marcata, rispetto ad altre sue opere, lo scarto narrativo e significante, tra le sequenze “mute”, in cui i personaggi rimangono lì fermi a fissare il vuoto della propria esistenza.
Nelle scene di musical i colori esplodono e si attua la personificazione immaginifica della fuga, dove il cinema sia accende, prende lo spazio di finzione pura che gli compete, eliminando ogni disguido teorico riguardo alla presunta necessità del tema dell’incomunicabilità.
Nelle scene di musical i colori esplodono e si attua la personificazione immaginifica della fuga, dove il cinema sia accende, prende lo spazio di finzione pura che gli compete, eliminando ogni disguido teorico riguardo alla presunta necessità del tema dell’incomunicabilità.
Il cinema di Tsai è costruito sull’intelaiatura delle solitudini umane, riconoscendo ai propri personaggi un’intimità solenne e quasi sfacciata.
Tsai esplora la nudità del fare cinema e della recitazione, come si vede in un altro caposaldo della sua filmografia, Il gusto dell’anguria (2005), dove viene preso di petto il tema della pornografia, con esiti ai limiti del trash e di una ripetitività del deja-vu, degna del Lynch di INLAND EMPIRE.
E’ un autore amato dai Festival Tsai, come la maggior parte degli autori asiatici, Venezia lo incoronò Leone d’Oro nel 1994 con Vive l’amour, in seguito, nel 1997 produrrà la sua opera più straniante, coraggiosa e difficile, Il fiume, che gli valse l’Orso d’Argento al Festival di Berlino.
In seguito, oltre al già citato The Hole Il Buco, porterà a Cannes Che ora è laggiù (2001), portando avanti una poetica sempre imperniata sugli stessi temi, non liberandosi mai del senso straniante e vagamente inconcludente del suo cinema.
In seguito, oltre al già citato The Hole Il Buco, porterà a Cannes Che ora è laggiù (2001), portando avanti una poetica sempre imperniata sugli stessi temi, non liberandosi mai del senso straniante e vagamente inconcludente del suo cinema.
Tsai è amato dai suoi fan proprio per questa sua intransigenza tematica, che non avrà forse alcuno sbocco narrativo concreto ed esplicito, ma tenta per lo meno uno scarto visuale tra ciò che il cinema pretende di poter mostrare e ciò che può anche solo alludere.
E’ in questo scarto che il cinema di Tsai vive, espletandosi come una lunga pergamena di formule magiche che solo pochi eletti possono sperare di decifrare. E’ un’ideologia del filmare il nulla che può essere tradotta come uno sberleffo al cinema narrativo, come una provocazione autistica.
Si può fare a meno del cinema di Tsai? Davanti a un’opera sfaccettata come The Hole Il Buco, la sentenza può essere così recitata: l’autore sfronda i limiti della propria ristrettezza visuale, all’interno di un cinema che vorrebbe abbandonare ogni reticenza, lasciando trasparire i colori, il movimento sospeso, la cura di ogni dettaglio relativo al fare cinema puro.
Come dire: l’incomunicabilità è solo un verbo che serve a Tsai per mascherare un’intransigenza che, a volte, è solo un inganno.
Come dire: l’incomunicabilità è solo un verbo che serve a Tsai per mascherare un’intransigenza che, a volte, è solo un inganno.