Dopo sei anni dal clamoroso successo de Il discorso del re, il premio Oscar Tom Hooper torna in sala con un’altra storia in costume, The Danish Girl, adattamento dell’omonimo romanzo di David Ebershoff del 2000.
Il biopic racconta la vita di una coppia di pittori nella Danimarca di fine anni Venti, Einar e Gerda Wegener, alle prese con lussuosi party di rappresentanza e viaggi nella Parigi pionieristica nel campo dell’arte. Eddie Redmayne e Alicia Vikander, entrambi nominati agli Oscar per le loro strepitose interpretazioni, mettono in scena il dramma di un uomo diviso tra l’amore per sua moglie e il desiderio di essere totalmente sé stesso. L’episodio scatenante è stato causato proprio da Gerda che, ingenuamente, chiede al marito di posare per lei in abiti femminili per sopperire alla mancanza di una modella. Einar l’accontenta un po’ impacciato, ma già dalle sue prime reazioni al contatto con il tulle dell’abito capiamo che qualcosa in lui si è risvegliato, nulla di nuovo ma solo un sentimento assopito da tempo. Il gioco della coppia continua quando Gerda e Lili, l’alterego di Einar, decidono di uscire allo scoperto per farsi beffa degli amici e presentare alla società la cugina del pittore, miss Lili Elbe. Il gioco però sfugge a entrambi di mano, quando un gentiluomo, Henrik (Ben Whishaw) adocchia Lili e la corteggia, scacciando sempre più lontano il fantasma virile di Einar.
Un amico dal passato di Einar, Hans, fa ritorno nella sua vita imbattendosi però in Lili, e prestando una spalla a Gerda durante la graduale trasformazione del marito. Interpretato dal belga Matthias Schoenaerts, già presente a Venezia con A Bigger Splash di Guadagnino, regala uno spiraglio di normalità alla coppia in crisi, ricordando a Einar che la felicità va inseguita a tutti i costi, come facevano da bambini, rincorrendo aquiloni sulle colline di Vejle. Intanto l’alchimia della coppia Wegener si sta disintegrando per far spazio alla personalità dolce e maliziosa di Lili, donna in fieri e desiderosa di gridarlo al mondo intero. Einar deve morire, e a ucciderlo ci penserà un medico tedesco, dott. Warnekros (Sebastian Koch), il primo a tentare la pericolosa operazione di riconversione sessuale. Con il benestare di Gerda, Lili è finalmente libera di sbocciare.
Il film, presentato in concorso alla 72ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ha raccolto fiumi di applausi per la delicatezza con cui Hooper ha raccontato un altro tema scottante dopo il rapporto di amicizia tra Re Giorgio VI e il suo logopedista, senza scadere nel ridicolo e abbandonando per l’occasione la vena humor. Nessuna battuta né alleggerimento, un tema drammatico come quello della prigionia di uno spirito in un corpo sbagliato va trattato con i guanti di velluto. Il collaboratore di lunga data di Hooper, Danny Cohen, cura la fotografia dei paesaggi di Copenaghen come dei salotti di Parigi, con vedute e cura dei dettagli impressionanti. La mano di Einar che accarezza le calze, la posa plastica di Gerda sul lettino che riprende la posa delle modella nei suoi quadri, lo sguardo perso della coppia che guarda nell’orizzonte in cerca di risposte… Il gioco di rimandi e sensazioni pericolose è segnato anche dall’uso riempitivo del tappeto musicale, assopito e poco presente, di accompagnamento alla trasformazione di un corpo e di una vita, curato dal compositore Alexandre Desplat, già premio Oscar per Grand Budapest Hotel e autore della colonna di The Tree of Life di Terrence Malick.
Eddie Redmayne e Alicia Vikander regalano un’interpretazione da brivido, dimessa e timida quella del modello britannico quando presta il volto a Einar, civettuola e femminile quando si presenta nelle vesti di Lili. Già Oscar per il ruolo, difficile, di Stephen Hawking nel biopic di James Marsh, La teoria del tutto, Redmayne si gioca di nuovo un asso nella manica, dimostrando versatilità e spirito di adattamento anche nei panni fastidiosi del primo transessuale dichiarato della storia, regalando un ritratto di donna sofferto ma battagliero, come ogni persona di carattere alle prese con un’accusa infondata di schizofrenia.
La Vikander ha sbaragliato la più famosa concorrenza (Kidman, Theron, Paltrow, Cotillard, Weisz) aggiudicandosi il ruolo di Gerda, una pittrice discreta che vive all’ombra della notorietà del marito, finché non ritrova il lui, o meglio, nella sua metà femminile, la modella e amica che aveva sempre desiderato. La svedese, non nuova ai film in costume (nel 2012 Joe Wright la lanciò a livello internazionale nel ruolo di Anna Karenina), si dimostra davvero una moglie innamorata quando appoggia, seppur con i dovuti dubbi, la decisione del marito di uccidere la sua mascolinità. Gerda fu una vera donna all’avanguardia nel panorama culturale di fine anni Venti, colei che per amore non ha badato al giudizio della gente e ha affogato i sentimenti contrastanti per amore del marito.
Il diario di Lily Elbe Man into Woman, pubblicato postumo nel 1933 è ancora oggi uno dei pilastri per il movimento transgender. Il film ne trascrive la bellissima storia di rispetto e di amore tra due persone che hanno avuto come unico desiderio nella loro vita la ricerca di un’identità felice.