La conferma che The Artist non solo non era una meteora, ma che si trattava anche di un progetto altamente studiato e prefigurato come un dovizia d’intenti lo si vede in controluce, dopo essere usciti dalla visione di Tabù di Miguel Gomes, altro film in b/n, in parte muto (nella seconda parte), che descrive una infuocata storia d’amore lungo gli anni, tra un uomo e una donna durante il periodo della schiavitù, in Africa. Nella prima parte si pensa di assistere ad un film sulla vecchiaia poi, dopo la dipartita dell’anziana signora, inizia la seconda parte, muta, che si abbandona al puro mélo, in cui Gomes si libera di tutti i crismi estetici usati nella prima parte, per cui silenzio e lentezza la facevano da padroni, combinando un tumultuoso racconto di formazione tra una giovane proprietaria terriera, sposata con un uomo che probabilmente non ama e che vive finisce col vivere una liaison extraconiugale con un fascinoso passante.
Il film di Gomes è tutto nelle atmosfere, negli sguardi rapiti degli amanti, nel b/n che forse per calcolo, forse per moda, forse per la necessità di tornare ad una forma più minimalista e spuria di comunicazione immaginifica, tenta di ricucire un vecchio strappo che il cinema subì dal mercato: aver fatto passare l’idea che il cinema a colori potesse essere l’unica possibile forma d’arte e di poesia; di conseguenza, lo spettatore era come se non avesse più bisogno dello sguardo “in” b/n, appiattendo la propria concentrazione alla retorica del colore. In questo senso sia The Artist, sia Tabù e i prossimi esperimenti in b/n (ce ne saranno diversi nei prossimi anni) tenteranno quello che a Jarmusch, Burton e a Kaurismaki non è riuscito: rieducare lo sguardo spettatoriale al piacere delle sfumature del grigio, dei chiaroscuri. delle atmosfere rarefatte, senza fare inutile nostalgia, la quale c’entra ben poco.
Detto questo, non si può non notare l’evidente sensazione che si prova davanti ad un film come Tabù: il film di Gomes è molto kitsch, riesce solo in parte a sostenere quella ricchezza narrativa che si notava in The Artist, ma è comunque un’opera che stimola un percorso alternativo, chiedendo di abbandonarsi ad alcune felici scelte estetiche, come la visione dell’alligatore nel fiume, che compare nella locandina del film, ma che in sostanza non c’entra nulla con la narrazione. Anche gli orpelli scenografici tendono, in questo cinema così manierista, a produrre un solco indeterminato nella produzione ultima di operazioni in b/n di cui si sta assistendo una proliferazione abbastanza inusitata e di difficile interpretazione. Forse è questa l’unica possibile reazione del cinema autoriale al baraccone 3D: la mimesi con un mondo alternativo in b/n, dove poter vedere le macerie di un cinema ormai quasi completamente plastificato attraverso un obiettivo deformato che giudica silenziosamente.