Querelle de Brest

Querelle, marinaio gay, sbarca a Brest, cittadina ridondante di simboli fallici. Qui diventa contrabbandiere d'oppio, assassino e diventa l'amante di un corpulento barista.
    Diretto da: Rainer Werner Fassbinder
    Genere: drammatico
    Durata: 108'
    Con: Brad Davis, Franco Nero
    Paese: GER OV., FRA
    Anno: 1982
6.2

Cosa resta, oggi, di Querelle de Brest? Forse poco, forse troppo. Lo scandaloso libro di partenza di Genet c’entra solo in parte nella fama di film maledetto. È un fatto che la morte improvvisa di Rainer Werner Fassbinder per overdose ha posto la sua ipoteca sul film, erroneamente scambiato da molti per una malata fantasia di morte. Nulla di tutto questo, in realtà.

L’apparente e in un certo senso “facile” somiglianza con Salò di Pasolini, altro lavoro postumo e ferocemente allegorico, ha partorito interpretazioni assai poco convincenti, che tradiscono il senso dell’ultima opera del maggiore esponente del Nuovo Cinema Tedesco.
Riguardando Querelle de Brest, invece, non si può non pensare che dietro un lavoro tanto personale, giocato su più piani di racconto e di lettura (voce off, cartelli e coscienza dei singoli personaggi si alternano senza soluzione di continuità), pulsa in ogni istante un’ansia violenta di vita, amore, sesso, carnalità ossessiva che non ammette stasi; e che quindi, tutta la vicenda – una trama complessa perché fa i conti anche con i generi, dal melodramma al thriller – rispecchi lo scontro tra tanta famelica rabbia vitalistica e l’oppressivo mondo di regole e di convenzioni che come una ragnatela circonda il mondo occidentale.
Un tema che Fassbinder sviluppò lungo tutta la sua filmografia, trovando vertici sublimi soprattutto nell’ultima fase (quella che comincia con l’eccezionale Il Matrimonio di Maria Braun). “E solo chi ha raggiunto una totale identità con se stesso non deve più avere paura della paura. E solo chi non ha paura può amare al di fuori dei valori; il traguardo estremo di ogni umana fatica: vivere la propria vita”.
Se peraltro i precedenti film di Fassbinder guardavano alla società come nemica dell’individuo nella sua accezione più radicale (non mancarono coloro che, giudicando superficialmente le sue opere sotto il profilo dei contenuti, si affrettarono a battezzare RWF come “un fragile ideologo”), Querelle una società, un autentico microcosmo, se lo inventa ex novo. Naturalmente paga dazio all’empatia degli spettatori, d’altra parte una conseguenza inevitabile di un mondo rappresentato e ricostruito solo nelle componenti costitutive, per segni (il sangue, il membro maschile onnipresente nei più svariati simboli fallici, la donna come elemento di disturbo, di intersezione e di rottura dell’armonia) e per colori (stati d’animo, stati della mente e del corpo passano attraverso il cromatismo di Xaver Schwarzenberger e l’uso straniante delle luci di Ekkehard Heinrich).
Ma ha la forza di un progetto intellettuale condotto con coerenza pari alla violenza disperata delle immagini, che esprimono allo stesso tempo l’impeto della vita che emerge dietro ogni convenzione e il sentimento masochistico che permea in fondo tutta l’opera del grande regista tedesco. Non ci si libera di Querelle de Brest (come di Un Chant d’Amour di Jean Genet), non lo si esorcizza, non se ne sminuisce la provocatoria vitalità, la sfida all’ipocrisia di ogni singola vita che contiene.
È più facile dimenticarlo, o tentare di ridurlo a mistificazione intellettuale o letteraria: e in questo, forse, la supposta parentela con il terribile Salò pasoliniano è più che mai prossima.

A proposito dell'autore

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Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...