Hiromasa Yonebayashi costruisce Quando c’era Marnie come un horror gotico, arricchendo la trama di sottotrame inquietanti, parcellizzate in una sinfonia di anime morte che agghiaccia e stupisce. Ci si ritrova invischiati in un luogo oscuro e affascinante, dove finzione e realtà si intrecciano senza soluzione di continuità, passato e presente si confondono, e i misteri dell’adolescenza si amalgamano nella raffigurazione di traumi non ben definiti.
La protagonista è l’adolescente Anna, ragazzina che vive con disagio la condizione di non aver mai conosciuto i veri genitori, essendo stata adottata quando ancora era in fasce. I flashback della sua infanzia in compagnai della vera madre arrivano in fase di dispiegamento del film, secondo una costruzione fiabesca che attinge ad un puro spirito animistico. Le tracce del passato vengono raggrumate in un soliloquio di rara potenza formale, un connubio dipinto come una tenera foschia muliebre, creando appunto la magnificenza di una stratificazione visiva simil-gotica tale da porre dubbi che non troveranno risposta.
La cheta atmosfera di attesa di Quando c’era Marnie si dispiega lungo le onde silenziose della memoria. Anna viene mandata dalla madre a trascorrere una vacanza a Hokkaido, in campagna. Appena arrivata la ragazzina percepisce subito come familiare una ricca dimora ormai dismessa. E’ qui che Anna troverà i suoi fantasmi, dove il notturno si schiuderà a lei in una contemplazione di cattivi presagi e paure inespresse, dove il senso solitudine troverà il suo punto di zenith. La tensione raggiunge tali livelli da prefigurare un nuovo capitolo d’eccellenza per il genere in questione. Siamo nel campo dell’anime, ma il quadro messo in scena deriva da un’audacia compositiva che ricorda ile trame nere dei film di Egoyan.
Una trama così complessa è troppo per un pubblico infantile. Quando c’era Marnie scoperchia lidi inespressi di mistero e paura da confermare la tendenza del genere a smarcarsi nettamente dall’alveo Disney. Può infastidire, destabilizzare, lasciare di stocco uno spettatore impreparato davanti ad un film d’animazione con temi così duri. Ma il vortice narrativa generato crea una spirale da cui forse non si vuole fuggire. L’originalità narrativa è comunque difficile da trovare e quando la si tocca con mano ci si chiede come ci si è arrivati. Pensando di aver visto un film di Polanski, ci si ritrova senza più armi a disposizione per discernere il rompicapo. E’ allora che inizia il viaggio verso il termine della notte.