Fa uno strano effetto rivedere in una sala di proiezione le scene di un film chirurgicamente sbagliato dal punto di vista ideologico come Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), quasi come se il tempo non fosse mai passato, come se l’ombra selvaggia di quel film così cristallino e purista si intromettesse nel nuovo film di Abel Ferrara, il film che contiene la presenza di un Pasolini mai visto. Un Pasolini forse americano, forse italiano, forse europeo, forse appartenente ad un altro tempo che non ci è andato conoscere appieno.
L’unico difetto che si può imputare al film di Ferrara è paradossalmente la sua durata: il film sembra troppo breve. Su Pasolini si poteva fare un poema di ore ed ore, con tutte le cose ci sarebbero state da dire su una figura di intellettuale così controverso, inserita in un periodo denso di avvenimenti uno più grave e cruento dell’altro. Ma l’operazione di Ferrara è stata proprio quella di centellinare le immagini, offrendo una parabola poetica tutta costruita sui raccordi di immagini pure e violente. Come era la vita di Pasolini.
La questione principale nel film di Ferrara in fondo è abbastanza semplice: per i comunisti la politica e la vita (e quindi il cinema) coincidono. Per Abel Ferrara no. Il film di Ferrara ha poco di politico e molto di poetico, questo potrebbe essere uno dei motivi per cui il film è stato tanto odiato da una parte della critica. Difatti, le scene dell’orgia possono sembrare ridicole a prima vista, ma l’effetto è voluto e il risultato è un arazzo stordente visionario, un oggetto contundente che fissa l’immaginario erotico pasoliniano come un enigma teorico dove i corpi danzano nel sublime nulla atemporale: il Pasolini di Ferrara è pieno di queste straordinarie invenzioni visive (l’epifania della stella cometa) ed è un film proprio diretto sul visivo e dentro la materia visiva più incandescente.
Bisogna anche dire che si tratta di un piccolo scandalo il fatto che per vedere una così perfetta ricostruzione storica della Roma anni ’70 ci sia voluto lo sguardo di un regista americano. D’altronde il film di Giordana sul delitto Pasolini era un diligente tv-movie, da cui niente si poteva pretendere. Il Pasolini di Ferrara è dunque uno strano ibrido produttivo, un film né americano, né italiano né europeo, ma una sintesi di queste tre circostanze produttive. Forse né Willem Dafoe né Maria De Medeiros assomigliano più di tanto a Pasolini e a Laura Betti, ma la interpretazione datane da Ferrara è un tentativo di ricollocare la parabola politica di quel tempo nel nostro tempo. Nel film di Ferrara gli errori ci sono e a volte sono palesi, ma il suo cuore rimanda direttamente a quei tempi insensati e terribili.