“Perché vuoi che sia come vuoi tu se mi hai voluto perché sono come sono?” chiede Georgio a Tony mentre la loro relazione era già agli sgoccioli. La tag line del film Mon Roi – Il mio re ben identifica l’andamento della vicenda: una storia d’amore tormentata, intesa senza alcun esclusivismo tipico delle coppie adulte, tra due quarantenni. Maïwenn Le Besco, conosciuta semplicemente come Maïwenn, si ripresenta a Cannes quattro anni dopo la vittoria del Premio della Giuria con Polisse. Francese, classe ’76, amatissima nel suo Paese già ai tempi del suo primo lungometraggio Pardonnez-moi, opera che le è valsa due candidature ai Premi César, per la migliore opera prima e per la miglior promessa femminile. Un altro premio all’ultimo Festival di Cannes lo ha vinto anche Mon Roi, con la Palma d’oro ex aequo per la migliore interpretazione femminile, tra la francese Emmanuelle Bercot e l’attrice statunitense Rooney Mara per Carol di Todd Haynes.
Il film è un lungo flashback della storia tra i due, con la protagonista Tony ricoverata in una clinica di riabilitazione per un grave incidente sulle piste da sci, a causa del quale è costretta a fare i conti col proprio passato e con scelte non sempre azzeccate. Passato e presente viaggiano in parallelo davanti agli occhi dello spettatore, che assiste da una parte alla forza d’animo di una donna coraggiosa quanto fragile, dall’altra agli aneddoti passati di una vita che sembra mai abbandonata del tutto. Molto stucchevole e fumosa, la storia raccontata dalla Maïwenn non sempre fila liscia, e spesso si ingarbuglia in luoghi comuni già visti e trapassati. I protagonisti non sono pienamente indagati ma lasciati in balia dei propri sentimenti, l’unico personaggio più “reale” è il coprotagonista Louis Garrel che interpreta il fratello della protagonista, un uomo in grado di incitarla a risvegliarsi dal torpore d’amore, quando ormai è troppo tardi: Tony è incinta di un figlio tanto atteso quanto concesso dal compagno per puro spirito di avventura.
La vicenda non ingrana, si perde nei ricordi della Bercot, esageratamente drammatizzati ma questa falla è riuscita a far emergere la bravura degli attori, che hanno tamponato con le loro magistrali interpretazioni gli enormi vuoti narrativi. Vincent Cassell è strepitoso come non mai in un ruolo che sembra essergli stato cucito addosso, sornione ed egoista come solo un vero re può esserlo. L’appellativo Mio Re infatti non è un complimento, ma un ossimoro, il reame su cui troneggia Georgio/Vincent è quello dei disonesti ed è la stessa Tony ad incoronarlo, all’inizio della loro storia. La scelta di adottare un punto di vista femminile, data anche dalla regista donna, sembra voler addossare l’infelicità di tanto dolore al solito maschio anaffettivo capace di divorare chi afferma di amare. Scelta non sempre azzeccata, non a caso le scene più palesemente sciroppate sono proprio quelle in cui la “vittima” Tony ripercorre la sua vita senza lasciare uno spiraglio di speranza, perseguendo l’idea che sia meglio aggrapparsi al passato come se non ci fosse un domani, come quando nella scena del litigio Marie Antoinette (meglio conosciuta come Tony) urla a squarciagola sotto il diluvio, mentre Georgio l’abbandona per strada accompagnata da una pioggia di rancore.
Una nota positiva è Stephen Warbeck , Oscar nel 1999 con Shakespeare in Love di John Madden, il quale compone le musiche originali che in questo spaccato di vita quotidiana scortano i protagonisti nei loro tormenti sentimentali. Le domande che suscita un melò come Mon Roi sono quelle di sempre: com’è nato l’amore tra i due? Cosa l’ha reso così vigoroso e poi così devastante? Come ha potuto la donna sopportare fino al limite della caparbietà scelte così discutibili? “Il ginocchio è un’articolazione che si piega solo indietro” spiega il fisioterapista a Tony durante la riabilitazione, come a riaffermare la scelta di alcuni masochisti di afferrare fatti superati e stringerli a sé, come se fosse impossibile avere di meglio. Ed è proprio durante questa lunga fase che vediamo come Tony sia riuscita, in malo modo, a staccarsi da quella condizione per ritornare a camminare sulle proprie gambe. Perché il desiderio di camminare di nuovo è molto più gratificante dell’aspettativa, tutta femminile, di “salvare” il proprio uomo dai suoi peccati.