Tempo presente. In una famiglia greca, durante la festa per l'undicesimo compleanno di una delle bambine, la festeggiata si suicida gettandosi dalla finestra. Segue un'indagine all'interno del nucleo familiare per capire i motivi di un gesto apparentemente insensato.
Diretto da: Alexandros Avranas
Genere: drammatico
Durata: 98'
Con: Kostas Antalopoulos, Constantinos Athanasiades
Paese: GRE
Anno: 2013
Durante la festa in famiglia per il suo undicesimo compleanno, la piccola Angeliki si getta dal balcone della sua casa. Mentre le autorità tentanto di scoprire i motivi dell’atto, la famiglia continua a sostenere che si sia trattato di un tragico incidente.
Miss Violence è un film di porte che si aprono e che si chiudono: la prima sequenza introdotta da una porta che si spalanca, ci invita ad entrare nel microcosmo casalingo dei protagonisti e ad assistere nella maniera più distaccata possibile al suicidio di una bambina di 11 anni.
Lontano da uno sviluppo di stampo thrilleristico, il film diretto da Alexandros Avranas (il suo secondo) indaga un dolore e un orrore familiare opprimenti, ma ben mascherati dalle buone maniere e dalla quotidianità.
Lontano da uno sviluppo di stampo thrilleristico, il film diretto da Alexandros Avranas (il suo secondo) indaga un dolore e un orrore familiare opprimenti, ma ben mascherati dalle buone maniere e dalla quotidianità.
Un film che si maschera appunto, che nasconde un terrore evidente tramite una messa in scena elegante,asettica e geometrica nella composizione dell’inquadratura.
Il film di Alexandros Avranas, premiato al Festival di Venezia 2013 per la migliore regia e il miglior attore, pare un film di Yorgos Lanthimos più inacidito ed esplicito, e segue la linea della nuova onda cinematografica ellenica: si tratta di pellicole che si celano attraverso un’esteriorità di stile quasi intatta, mostrando invero uno sporco esistenziale straziante e insostenibile.
Il film di Alexandros Avranas, premiato al Festival di Venezia 2013 per la migliore regia e il miglior attore, pare un film di Yorgos Lanthimos più inacidito ed esplicito, e segue la linea della nuova onda cinematografica ellenica: si tratta di pellicole che si celano attraverso un’esteriorità di stile quasi intatta, mostrando invero uno sporco esistenziale straziante e insostenibile.
In Miss Violence, Avranas muove poco la macchina da presa, scegliendo un taglio semi documentaristico, con movimenti semplici, molte inquadrature fisse, un’assenza di movimento in un cinema da camera che alla fine scuote da dentro: un silenzio assordante insieme alla passività dell’immagine, servono a mostrare e a sentire il rumore del disumano.
Evitando di voler fare una critica sociale sul subbuglio politico e sociale che sta attraversando la Grecia, Avranas sceglie il modo forse più irritante e fastidioso per raccontare la sua storia, ma anche necessario per ottenere un effetto di totale alienazione, optando per un film che lavora sul perenne contrasto cinematografico tra il contenuto e la forma della messa in scena: in questo caso i due poli sono presentati completamente agli antipodi.
Evitando di voler fare una critica sociale sul subbuglio politico e sociale che sta attraversando la Grecia, Avranas sceglie il modo forse più irritante e fastidioso per raccontare la sua storia, ma anche necessario per ottenere un effetto di totale alienazione, optando per un film che lavora sul perenne contrasto cinematografico tra il contenuto e la forma della messa in scena: in questo caso i due poli sono presentati completamente agli antipodi.
E quelle porte che continuano ad aprire e chiudere i locali della casa sono la prigiona dorata che custodiscono terrificanti vessazioni psicologiche, quasi a voler mostrare e/o cancellare, a vedere il dominio del capofamiglia (un inquietante Themis Panou vincitore del premio al miglior attore sempre al Festival di Venezia 2013), ma a non controbatterlo: da qui il grigiore stilistico che diventa grigiore dell’anima.
Miss Violence parla di morti silenziosi che rimbombano nel tempo, di vite spezzate, di bianco e di opaco e, nel finale, prima che l’ultima porta si chiuda per permetterci di dimenticare, il colore rosso del sangue, quello della ferita, del dolore, della vita, pare insinuarsi nelle esistenze dei personaggi, senza capire se si tratti di una scintilla di speranza o della semplice continuazione di un male infinito.