Pablo Larrain è il regista di uno dei più controversi film della stagione che si è appena conclusa. Racconta di un uomo che fa di tutto per impersonare in uno squallido programma televisivo il suo eroe cinematografico, il Tony Manero interpretato da John Travolta nel film “La febbre del sabato sera“. Il film è di uno squallore e di una desolazione impressionanti. ma questo non deve né impaurire né respingere lo spettatore, che si trova davanti letteralmente un’opera che, con sconvolgente lucidità, mette in atto uno scacco estetico di lampante chiarificazione politico-estetica.
Per una questione strettamente morale il film sarebbe troppo facile da liquidare, con parole di sdegno e rassegnazione. Si direbbe: nel film non si vede altro che un uomo che fa di tutto per apparire dissoluto e abietto. Anche se il più delle volte la tragedia morale di quest’uomo schifoso, Raul Peralta, ogni volta ha l’effetto esattamente opposto, ovvero di una ilarità epidermica spaventosa e straordinaria. Ma tutto ciò non basta per spiegare l’importanza storica del film e del cinema di Larrain in generale.
In Tony Manero viene annullata l’identità del personaggio nel luogo e nello spazio (il terrificante luogo è il Cile di Pinochet, 5 anni dopo il golpe del ’73), con questo primo capitolo di quella che poi diventerà una trilogia, Larrain si evidenzia come uno dei più grandi esegeti estetici degli ultimi 10 anni. Un cineasta che già da trentenne sa esattamente quello che vuole dalla mdp: impostando una fotografia satura sul marrone scuro per inquadrare lo stato d’animo del suo protagonista all’interno del contesto di una delle dittature più fosche del ‘900. a Nel cinema di Larrain non c’è alcun “carnival of souls”, e i movimenti della mdp sono totalmente impregnati nel caos morale, culturale, disumano di una repressione fascista che il regista cileno mette in scena con una forza non ravvisabile altrove.
E’ questo che in Tony Manero viene clamorosamente all luce: un’idea di cinema come Time Machine, una storia (in)sensata e insana filmata con libertà e assoluta onesta estetica. Si potrebbe legittimare persino una lettura da “horror sociale” per Tony Manero, musical politico che è destinato ad installarsi nell’immaginario collettivo come una delle più spiazzanti opere di denuncia contro un regime novecentesco. Il senso di perenne irrequietezza misto a una deriva narcisistica da parte di Larrain e del suo personaggio sono tanto grotteschi ed insensati quanto indispensabili per capire il sentimento di un tempo vilipeso e attanagliato da forze invalicabili e insopprimibili. Dunque il cinema non muore, si rigenera sempre dalle ceneri della Storia e Pablo Larrain ne ha capito il cuore malato e oscuro. I due successivi film, Post Mortem (2010) e No (2012) concluderanno un’idea fondante di cinema che si staglia nella memoria con un bagliore accecante e potentissimo. Come un magnete cristallizzato e sordo.