Jimmy Picard è un reduce della Seconda Guerra Mondiale. L'esperienza della guerra ha lasciato profonde cicatrici nella sua mente: soffre di emicranie e improvvisi deficit dell'udito e della vista. Il suo caso viene affidato alle cure dell'antropologo Georges Devereux.
Diretto da: Arnaud Desplechin
Genere: drammatico
Durata: 117'
Con: Benicio Del Toro, Mathiew Amalric
Paese: FRA, USA
Anno: 2013
Il cinema di Arnaud Desplechin è fatto di esseri umani e di sentimenti, di psicologie narrate con attenzione e complessità. Senza scomodare paragoni impropri, è chiaro che il modo di concepire il cinema di questo nuovo autore francese, si avvicini molto allo sguardo di Truffaut, soprattutto in pellicole come I re e le regine (2004) e Racconto di Natale (2008). É deludente quindi constatare che Jimmy P. (2013), prima pellicola in lingua inglese di Desplechin e presentato in concorso al 66° Festival di Cannes, sembri una versione annacquata e impoverita dello stile di un autore che in precedenza aveva dimostrato grandi abilità.
Tratto dal libro “Psychoterapy of a plains indian” dell’antropologo franco-ungherese Georges Deverereux, Jimmy P. narra l’analisi psichiatrica che Devereux fece su un nativo americano reduce della Seconda Guerra Mondiale affetto da gravi sintomi post-traumatici. Jimmy P. si sviluppa così attraverso la messa in scena delle sedute di psichiatria tra Dereveux (interpretato da Mathieu Almaric) e Jimmy Picard (Benicio Del Toro): Jimmy si apre al dialogo con il dottore, disegnando e raccontando i propri sogni, che il film si premura di mostrare tramite poco riusciti flashback.
Si tratta chiaramente di un’opera dalle ambizioni molto alte, Desplechin torna idealmente dal nume tutelare di Truffaut, quasi volesse realizzare una propria versione de Il ragazzo selvaggio (1970), ma l’operazione non riesce a mantenere le intenzioni, a causa di una eccessiva prolissità: si parla molto, troppo, in questo film estremamente didascalico, e si finisce per non dire nulla.
Il risultato delle varie sedute di analisi, i fitti dialoghi tra i due protagonisti, portano ad una relativa assenza di peso specifico e d’importanza dell’intero corredo drammaturgico. Allo spettatore interessa relativamente il motivo dei sintomi di Jimmy e quali sono i suoi tormenti, e interessa ancora meno se il dottore riuscirà a curarlo oppure no, perché i loro caratteri non riescono ad entrare abbastanza in profondità nelle memorie e nei fatti e il film non riesce ami a creare empatia con lo spettatore.
É un cinema freddo e compassato quello che viene fuori da Jimmy P., film che non trova un suo punto focale, perdendosi in un inutile fiume di parole, in una mancanza di ritmo che finisce per rinchiude l’intera struttura narrativa, nella gabbia di una messa in scena bloccata, ferma, come e più del racconto in sé. Nulla possono due ottimi attori come Mathieu Almaric e Benicio Del Toro, i quali, pur regalando due ottime performance, non posseggono la capacità di far brillare un’operazione di regia, che non riesce ad andare oltre le maglie di un cinema d’autore senza peso specifico, che risulta pesantissimo per chi guarda.