É il regno del non detto, del silenzio ostinato e sofferto, a dominare su personaggi, eventi e atmosfere che abitano la pellicola d’esordio del calabrese Fabio Mollo. É il senso di colpa, il rimosso di una famiglia, di un popolo, di una terra a creare gli spettri di un mondo alla deriva. Sono fantasmi che hanno la consistenza anomala del ricordo le figure che popolano una storia intrisa di quel realismo magico tanto caro ai sudamericani che, declinandosi in un altro, altrettanto stupefacente e controverso sud del mondo, acquisisce una nuova, potente declinazione.
I turbamenti emotivi, il senso di inadeguatezza e non appartenenza della giovane protagonista, adolescente taciturna e mascolina nella periferia di Reggio Calabria con un padre altrettanto silenzioso, logorato da un dolore muto che vorrebbe un futuro diverso per lei, lontano, al nord, si concretizzano allora nella reiterata immagine, ai limiti di una rozza e straziante iconografia, del fratello ucciso. Sarà con l’aiuto di una nonna in bilico tra saggezza popolar-medianica e sorda rassegnazione e con la conoscenza di un altro ragazzo, capace di amare e comprendere la confusa ragazza, che gli spettri della paura e del rimorso, dell’incapacità di confrontarsi con un’esistenza ostile e morente, saranno definitivamente dissipati attraverso una nuova, simbolica rinascita.
Con una sapiente e consapevolmente forte padronanza della tecnica l’autore ricostruisce un mondo che è vibrante universo interiore e cocente realtà contingente a un tempo, sogno idillico di ricongiungimento e concreto e disarmante incubo sulla desolazione del reale. Sorvolando sopra esistenze silenziose, appese al filo di una disperazione fin troppo comprensibile, su teste, sguardi, litanie di processioni patronali, figlie di un sentimento religioso sordo e inutile, l’occhio della macchina da presa traccia le coordinate di una vita ai margini, dove la speranza appartiene ad un sentire irrimediabilmente altro, eppure, magicamente, ancora presente. In immagini evocative e surreali, che con lenti carrelli, primissimi piani e dettagli stemperano la banalità quotidiana fondendola in una nuova, pregnante dimensione, è allora l’estetica dei sentimenti, delle sensazioni a dettare le regole, a scrivere le leggi di un mondo nuovo dove la rivalsa è ancora qualcosa di possibile, di sentito e di bellissimo.
É questa bellezza formale, questo sguardo già così forte e personale, che annulla qualsiasi facile e ruffiana verbosità in favore di un vedere bastante a sé stesso, a rappresentare il maggior pregio di quest’opera prima, un viaggio di formazione dove la sofferenza, l’ingiustizia e la disperazione vivono attraverso una prepotente trasfigurazione, dimostrandoci che anche con la magia di uno sguardo fresco e non banalizzante si può cantare una realtà, una problematica tanto sociale quanto esistenziale.