La riedizione di Der Himmel uber Berlin ( Il cielo sopra Berlino, 1987) pone in termini di meccanicità del reale il volto sospeso di Solveig Dommartin. Come se si trattasse di una rivisitazione di tutto il cinema di Wim Wenders. La maniera che prenderà in seguito il regista tedesco, nel film del 1987 assume una valenza scopica inedita, recherche du temps perdus.
In Der Himmel uber Berlin il Wenders manierista prova insofferenza nei confronti del Wenders narratore. Filmando i pensieri degli abitanti della Berlino del 1986 Wenders si assume la responsabilità di enunciare il vuoto cosmico di una generazione figlia della miseria post seconda guerra mondiale. La Berlino divisa in due è esemplificata dalle sequenze in cui compare il Muro. che tutto divide, anche le anime dei tedeschi.
La regia di Wenders diventa il collante emotivo di un tessuto narrativo la cui ricombinazione genetica di elementi memoriali è il principio, non il fine del cinema del regista tedesco. Se il tempo è la coordinata ultima che delimita il campo, di una fisionomia di volti appartenenti al passato, lo spazio è allusione al terrore della rinascita. Nulla può essere riciclato o riprodotto, neanche le ballate di Nick Cave che la ballerina del Circo Solveig Dommartin ascolta nella solitudine della sua camera.
Se il cinema di Wenders dopo Der Himmel uber Berlin sposerà un manierismo sempre meno digeribile è perché la recherche proustiana applicata alla modernità genera corto circuiti temporali la cui distanza rispetto al passato non si può quantificare in senso logico. L’emozione scalpita, la mente non trattiene, il cuore non conosce ma s’innamora. Il volto di Solveig ammirato dall’angelo Bruno Ganz fa da collante rispetto al passato. Lo spettatore ne rimane inebriato. Ciò che manca è la cinematica del verbo annessa ad una consuetudine estetica dove il manierismo autoriale diventa clava ellittica. L’esponente quadrangolare di una cinematica diversa da tutte le altre.
Il cinema dell’emozione fuori controllo basata sulla ricerca della memoria estinta produce il verso contrario di una disputa tra cuore e mente, dove ciò che rimane è il ricordo di una visione di tale perfezione da non poter più chiedere un’ulteriore prova di analisi.