Elena

Russia, tempo presente. La vita di una anziana coppia, Elena e Vladimir, viene sconvolta dalla malattia: Vladimir accusa un attacco di cuore. Le sue condizioni si rivelano altamente critiche. A chi deciderà di lasciare la sua eredità?
    Diretto da: Andrey Zvyagintsev
    Genere: drammatico
    Durata: 109'
    Con: Nadezhda Markina, Andrey Smirnov
    Paese: RUS
    Anno: 2011
8

Per molti, in particolare in Italia, Andrey Zvyagintsev è il regista di un unico film, Il Ritorno, che alla Mostra Cinematografica di Venezia del 2003, sotto la presidenza di Mario Monicelli, scippò il Leone d’Oro a Buongiorno, Notte di Marco Bellocchio, con relativa coda polemica del regista piacentino.
Il dibattito critico intorno al valore di quell’opera prima scemò rapidamente. Il secondo e il terzo lavoro di Zvyagintsev, rispettivamente Izgnanie (2007) e questo Elena (2011) non hanno ricevuto la minima attenzione, tanto da non godere di alcuna distribuzione italiana. Veramente un peccato, perché Elena, premiato nella sezione Un Certain Regard a Cannes, è un film che non si limita banalmente a cogliere un certo umore dei rapporti sociali ed affettivi nella Russia odierna, ma sbriciola letteralmente ogni punto di vista, specialmente quello moralistico, per aprire l’indagine in un senso enormemente più ampio e problematico.

Zvyagintsev lascia cadere ogni tentativo di lettura politica, a cominciare dalle retoriche ormai ammuffite della lotta di classe per moltiplicare i punti di fuga: l’insistenza sugli specchi, sulla profondità di campo, sui contrasti luminosi degli ambienti, tanto quelli lussuosi della villa di Vladimir che quelli scialbi e dimessi dell’appartamento del figlio di Elena, ha la funzione di spezzare la lettura monologica degli avvenimenti e disperdere spazialmente la massa critica dell’evento centrale, l’uxoricidio. Che infatti si abbatte improvviso e imprevisto, frutto di una risoluzione apparentemente estemporanea e carico solo della sua drammaticità, ma non delle conseguenze.
Elena sopprime Vladimir, e questo è tutto. L’eredità viene divisa in parti uguali tra la figlia “edonista” e la seconda moglie, ma non ci sono echi psicologici di questo, e nemmeno scene madri. Non c’è neanche impassibilità e cinismo, però. La ricchezza passa al figlio spiantato e nullafacente di Elena e, si lascia intendere, da costui al nipote che è forse persino peggiore di lui (a questo allude verosimilmente la sequenza della rissa).
Il punto di vista è tuttavia così diluito che neppure queste sottolineature di sceneggiatura concorrono a recuperare un significato, univoco o meno. Come per il parricidio dei Fratelli Karamazov, il denaro è il centro della catastrofe, ma in Elena è solamente uno degli anelli della catena e non c’è enfasi sulla sua funzione, come non c’è cupidigia esibita nella protagonista e nella sua famiglia. Il meccanismo omicida che la ricchezza contesa innesca ha una logica persino ineluttabile, che sembra rispondere ai tempi e ai luoghi più che alle passioni umane. Come se si fosse in presenza di risposte automatiche, e in quanto tali destituite della loro natura intrinsecamente criminale.
Quel che è peggio, le domande hanno smesso da un pezzo di essere formulate. Delitto senza castigo, dunque, e la famiglia di Elena che prende possesso dei luoghi dell’opulenza solo per guardare rapita gli stessi programmi scemi alla televisione alimenta la medesima inconsapevolezza e distanza da una qualsiasi determinazione del “gioco” a cui partecipa. Ma Elena non è, malgrado le apparenze, un grande film “agnostico”; è piuttosto un tagliente ritratto di un tempo come questo, sospeso in un limbo e disertato da Dio. E lontano pure dagli uomini.

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Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...