E’ il miglior Cronenberg dai tempi del capolavoro dickiano eXistenZ. In A Dangerous Method si frappone un mélo arduo, estremamente contrasto. La regia di Cronenebrg non deve stupire, è fatta di una logica ferrea, di una materia malleabile al gusto della manipolazione. E’ un cinema cartesiano quello di Cronenberg, dove ogni allusione è ritmata nella struttura sempre lineare e logica. Cronenberg si conferma regista niente affatto lezioso o manierista, ma anzi scarno e impietoso. Allo stesso tempo si vede la mano del regista che non cerca affatto il realismo, ma anzi dilata la componente metafisica, tellurica del marchingegno psicologico. L’amore è sempre un’equazione, una risposta a stati d’ansia alterati e alteri. L’io è l’altro nel cinema di Cronenberg, sempre.
Allora per cosa si distingue questo A Dangerous Method, rispetto a Spider, A History of Violence e Eastern Promises? A prima vista si direbbe l’ennesimo progetto su commissione. Ma stavolta il regista canadese intraprende strade diverse. Non più mera operazione di impaginazione drammatica di una narrazione scevra da autorialismi. Stavolta Cronenberg prende di petto il mélo per rivoltarlo. Keira Knightley viene cronenberghizzata, ed è, con grande sorpresa, un fascio di nervi. La sua performance indirizza l’intero film. Se non ci sono più mutazioni nel cinema di Cronenberg è perché il regista canadese ha capito che l’horror non ha più senso oggi. Il cinema stesso è mutato, si fuso con gli altri media e Cronenbrg, da bravo autore si dilegua, “inventando” un neo classicismo che lascia sconcertati i fan di Videodrome e The Fly. A Dangerous Method segna la congiunzione tra la teoretica dell’erotismo e la minaccia del mutamento interiore. Il primo è dato come contenitore del secondo. Lo scatto ulteriore di A Dangerous Method sta nel non risolversi nell’evento finale, come dato di fatto incontrovertibile. A History of Violence ed Eastern Promises si risolvevano in un atto di violenza che sanciva una fine davvero conclusiva della vicenda. A Dangerous Method non finisce, prosegue, si propone come dubbio e come sortilegio in un continuo denigrare l’immagine stessa. Cronenberg sa come passare inosservato come autore, con un cinema così camuffato ed elegante da non sembrare neanche più così vero. L’iperrealismo non è dei Dardenne, bensì di Cronenberg, cineasta dell’invisibile come traccia per capire il tempo e lo spazio.