Piccolo gioiello, Tulpan, così come l’omonimo personaggio. Tanto prezioso da non venire mai inquadrato. Eppure sempre in scena, ossessione del giovane marinaio kazako Asa.
Vincitore del Prix Un Certain Regard a Cannes 2008, Tulpan è un film capace di conservare una sua drammaturgia, ma di essere al contempo puro come un documentario.
La storia di Asa è resa difatti con una serie di scene senza messa in scena. Asa a prendere il tè con i genitori di Tulpan, il cognato pastore-nomade-della-steppa-kazaka intento nella respirazione bocca-a-bocca con un agnellino nato morto, sua moglie mentre prepara delle polpette di caglio e i bambini che scorrazzano intorno alla yurta, in barba al découpage classico, sono seguiti pazientemente da camere a mano, come ignari osservati, spiati da una mosca sul muro.
Normale che si generi la sensazione, nello spettatore, di trovarsi di fronte a una pellicola di cinema diretto. Il paradosso invece è che i personaggi sono attori, messi a vivere nei luoghi e ruoli del film un mese prima delle riprese.
E d’altronde si tratta di un lungometraggio che sa sfruttare coscientemente gli espedienti narrativi tipici della finzione: come fa notare Alessandro Bignami in una sua recente pubblicazione, c’è dell’Hitchcock nel nascondere al pubblico la fanciulla Tulpan per tutta la durata del film, nel far percepire la sua presenza, celandola però continuamente dietro porte o tendaggi.
E non è solo in questo caso, o nella messa in scena documentaristica, o nel costringere gli attori a vivere da nomadi nella yurta per un mese per farli immergere nei propri personaggi, che si può riconoscere il rigore con cui Sergei Dvortsevoy ha condotto la sua regia.
Sempre Bignami riporta un episodio davvero emblematico della coerenza estetica e teorica di questo ex ingegnere aerospaziale kazako che un giorno ha deciso di darsi al cinema documentario: pur di non ricorrere agli effetti speciali, la troupe ha atteso nella steppa per due giorni il formarsi di una tromba d’aria reale, per poi riprenderla.
Corto circuito di finzione e documentario, impossibili da distinguere. Puro cinema del reale. Tulpan, nei suoi lunghi e rispettosi piani sequenza, è anche un riconoscimento all’autorità del tempo naturale sul tempo cinematografico.