L’intuizione da cui deriva il genio di Buster Keaton è l’intersezione di due ruoli che più diversi non potrebbero sembrare. Il proiezionista e il detective. Riuscire a fare entrambe le cose necessita un’abnegazione che il protagonista di Sherlock Jr. dimostra di avere solo durante in sogno. Non c’è niente da fare: il restauro riporta al tempo quello che la memoria cancella per eccesso di visioni. Che lo si voglia ammettere o meno, una copia restaurata di Sherlock Jr. funziona come le perle trovate per caso in un mare in tempesta. L’emozione che attraversa il tempo (pur esiguo) della visione lascia interdetti, quasi ammutoliti nella perfezione recondita di ogni singola scena.
Sherlock Jr di Buster Keaton arriva nel nuovo millennio con la destrezza di una parabola ascendente da cui in seguito prenderà il largo una intera teoretica sul cinema che riflette su se stesso. La girandola di trovate potenzialmente infinite ruba all’occhio dello spettatore la bussola per orientarsi tra i vicoli ciechi di un universo narrativo stralunato e fantasioso. Dalla retorica del cinema muto emerge la difficoltà plastica di esprimere concetti nudi come l’umorismo e l’amore senza che lo spettatore si stacchi per un secondo dai volti degli attori. Sherlock Jr. esprime una compressione di sguardi e di traiettorie sceniche che vanno a comporre una sciarada fuori dal tempo, che diventa ordigno comico tridimensionale, pulsionale metamorfosi della risata nel diagramma elettrico, di un tessuto narrativo composto da singoli frammenti uniti per magia da semplici raccordi simmetricamente concordanti tra di loro.
Il proiezionista detective di Keaton si arrende all’evidenza delle immagini in movimento, tenta di imitarle, ma alla fine se ne libera per eccesso di visione, come uno spettatore onnivoro dopo aver fatto overdose di film. Keaton consente alle immagini di reinventarsi sotto forma di sogni innestati da una memoria in surplus di visione, per poi alla fine capitolare di fronte all’invadenza della realtà. Che la visione sia solo l’affermazione di una subordinazione dell’individuo, al perdurare di una realtà superiore che sfugge alla vista? Solo un Buster Keaton del 1924 trapiantato nel 2015 può rispondere con l’esattezza di un cinema che somiglia più ad una formula matematica, che ad una semplice associazione casuale di immagini. Sherlock Jr. reinventa la soglia ultima di comprensione dell’onirismo, lasciando lo spettatore davanti ad un obiettivo di cui non conosce parametri estetici. Come se la visione stessa fosse l’atto mancato di un crimine in fieri.