Scott Pilgrim vs. the World è la prima commedia del nuovo millennio, in cui l’interfaccia tra i media (cinema, televisione, fumetti, videogame, videoclip, internet) cessa di esistere. In Scott Pilgrim vs. the world però lo scarto è allo stesso tempo violento e fluido. Violento perché il film propone un’orgia di visioni quasi demoniache a cui solo lo spettatore più giovane è abituato, fluido perché non si sente minimamente il peso di tutta la “zavorra” digitale, che rendeva per esempio nauseabonda un operazione come Speed Racer, il fallito tentativo da parte degli ex-genietti della computer-graphic Wachowski Bros. di rendere in immagini digitali pastello un fumetto.
Se Speed Racer e anche The Spirit di Frank Miller (ma adesso che ci penso anche Sin City era piuttosto freddo) avevano fallito in qualche modo il bersaglio (The Spirit comunque conservava un certo divertimento goliardico, se il film veniva preso per quello che era, ovvero una farsa allora ci si divertiva anche), Scott Pilgrim lo centra con una nonchalance e un senso della scena implosiva/esplosiva che dà alla testa e arriva dritta al cuore.
Scott Pilgrim racconta una storia di amori adolescenziali interpretandola intelligentemente un campo, una battaglia tra cuori impavidi e cervelli fusi. Il ritmo alla Moulin Rouge! non dà mai alla testa e rifiuta il realismo giocando genialmente con la teoria dei segni, attingendo ai due media prefissati, il videogame e il fumetto.