C. Bud Baxter lavora in una società di assicurazioni. Ma non guadagna abbastanza. Decide, così, si affittare il suo appartamento ai suoi superiori per incontri extraconiugali. Un giorno scopre che una di queste ragazze è la donna che ama.
Diretto da: Billy Wilder
Genere: commedia
Durata: 125'
Con: Jack Lammon, Shirley MacLaine
Paese: USA
Anno: 1960
Rivedendo L’Appartamento (The Apartment, 1960) mi viene in mente un’ipotesi un po’ improbabile e magari ardita: chissà se la grande azienda al centro del film è il modello (uno dei possibili modelli) per la Megaditta attorno alla cui routine si snoda la sgangherata esistenza del Ragionier Ugo Fantozzi.
Non è soltanto la prima, meravigliosa sequenza del capolavoro di Billy Wilder che nel 1960 fece incetta di Oscar, a farlo pensare.
Certo, l’organizzazione neanche tanto vagamente marziale della ditta, con l’onnipresenza di orologi e segnali orari, con ascensori sempre in funzione, superiori infidi e colleghi perennemente in vena di angherie, fa correre il paragone ancora oltre.
E il servilismo di C.C. Baxter (Jack Lemmon) non è in definitiva dissimile da quello del Ragioniere per antonomasia del cinema italiano, così come un certo cinismo e vigliaccheria di fondo fanno capolino nei rispettivi caratteri (e qui mi fermo, anche se dovrei ancora ricordare almeno l’amore timido e gentile di Baxter per la graziosa collega Fran Kubelik – Shirley MacLaine – che è il contraltare di quello di Fantozzi per la svampita e sgraziata signorina Silvani).
Dove il parallelismo semmai perde quota è nel trattamento dei personaggi. Fantozzi è piuttosto parente di Wil Coyote e, in fondo, figura molto più fumettistica dell’impiegato triste e solitario ritratto da Wilder.
L’effetto d’insieme non potrebbe essere più diverso: laddove il mondo piccolo e provinciale immaginato da Paolo Villaggio e messo in scena (almeno per i primi episodi) da Luciano Salce diviene l’emblema di una ritualità “tribale” che sembra immutabile, quello dell’Appartamento è una spietata e corrosiva satira di un universo capitalistico in espansione giunto alla sua incarnazione più proverbiale e stigmatizzata, quella che separa gli esseri umani sul piano degli affetti e li riunisce in nome di interessi materiali.
La sopraffazione di cui è oggetto C.C. Baxter è in realtà frutto di un sistema di dipendenze che riserva vantaggi a tutti, lui compreso (Baxter organizza gli incontri amorosi extraconiugali dei colleghi in cambio di una promozione sul lavoro), e che trova il suo culmine nella plateale scena in cui il principale (Fred MacMurray) offre a Fran dei soldi in luogo di un regalo di Natale. Una visione molto cupa, quella di Wilder e di I.A.L.
Diamond, autori della sceneggiatura, che mette alla prova il canovaccio della commedia sentimentale: è solo a prezzo della perdita del lavoro o della caduta di prestigio sociale – penso anche al licenziamento in tronco dell’ex amante da parte di MacMurray – che gli individui possono trovare una qualche forma di riscatto e di dignità umana.
Anche se alla fine, sia pure con una mansione inferiore, Fantozzi veniva perdonato e riassunto dalla Megaditta. Chissà se anche C.C. Baxter ha seguito la stessa sorte.