Jerry Maguire

Un procuratore sportivo spietato e senza scrupoli, durante una notte scrive di getto una relazione programmatica dove rivela l'immoralità del suo lavoro (spremere i giocatori per trarne il massimo profitto), la stampa e la spedisce a colleghi e superiori. Perderà il lavoro ma forse recupererà un minimo di dignità perduta.
    Diretto da: Cameron Crowe
    Genere: commedia
    Durata: 139'
    Con: Tom Cruise, Cuba Gooding Jr.
    Paese: USA
    Anno: 1996
7.2

Il romance e lo sport. Un connubio da sempre presente nel cinema americano. A 18 anni di distanza dall’uscita di Jerry Maguire (1996), l’unico vero film di successo di Cameron Crowe, si ha la sensazione che il genere sia cambiato radicalmente. Le serie tv hanno prodotto un sostanziale mix di generi nel sistema della narrazione hollywoodiana e solo cineasti neo classici come Jason Reitman e Alexander Payne hanno saputo dare un nuovo corso alla sete di autorialismo post-Barry Levinson.

A differenza di altri film sullo sport come L’Uomo dei Sogni (Field of Dreams), con Kevin Kostner, Cameron Crowe con Jerry Maguire è più vicino ad una commedia sportiva come Moneyball L’arte di vincere di Bennett Miller, dove viene messo in scena il sistema valoriale dell’America pre-09/11.
La retorica del businessman diviso tra carrierismo rampante e sete di coscienza emerge come una tarda ammissione di responsabilità, come se il sistema delle major di Football fosse accomunabile a quello delle major hollywoodiane, dove alla fine, un regista decide di dire la verità sul meccanismo di sfruttamento del talento: le star sono carne da macello, come i giocatori di Football, ma “the show must go on”, comunque sia.
In Jarry Maguire si può leggere senz’altro una ipocrisia strisciante in questa retorica, ma significa anche mettere un punto fermo da cui lo spettatore non può uscire. Si legge un messaggio ambiguo in questo scarto tra intenzioni e realizzazione, come se la voglia di inserire un elemento di criticità all’interno di un sistema malato facesse da controluce a problemi più nascosti e imponderabili.

 

Certo, quando nella fase finale lo script di Crowe esplode nella melassa più incontrollata (Cuba Gooding Jr. resuscita come per miracolo dalla morte apparente) ci si sente truffati, ma si arriva a quel punto dopo una seria riconsiderazione dei rapporti tra i personaggi. C’è un tentativo di screwball comedy nel quadretto degli attori principali Cruise-gooding Jr.-Preston-Zellweger, un modo per riaffermare la potenzialità spettacolare del cinema americano.
Di conseguenza, non saremo mai dalle parti dei duetti Jennifer Aniston-Adam Sandler. A quei livelli non ci si arriva. Crowe punta più in alto e il romance classicheggiante tra Cruise e la Zellweger dimostra la sostanziale autenticità del cinema di Crowe, che poi, 9 anni più tardi sfocerà purtroppo, a causa di uno scellerato miscasting, nella sdolcinatura di Elizabethtown (2005), come dire: vogliamo ripetere la formula di successo, ma non sappiamo se gli attori saranno all’altezza.

 

In Jerry Maguire la performance di Tom Cruise accende ogni volta lo schermo, il suo senso reaganiano dell’over-acting ha infastidito e continuerà ad infastidire i devoti dell’actor’s studio che sono nati con De Niro, Al Pacino e Jack Nicholson, ma quella di Cruise è una rappresentazione schietta del self maid man, la punta d’acciaio del sistema Hollywood che rigenera se stessa con la costanza di un diesel. Inutile metterci bocca, il senso di Cruise per il romance è lo stesso che poteva avere il Clark Gable di Gone With the Wine o il Brando di A Streetcar Named Desire (Un tram chiamato paradiso), solo con un contesto talmente mutato che la critica non riuscirà mai a vederlo (e ad ammetterlo).
Jerry Maguire pone in essere una questione di adattamento dello sguardo ai processi che il tempo nasconde all’occhio nudo. Bisogna avere una capacità di adattamento alle nuove formule di un mondo che urla a squarciagola ed è dipinto con i colori ambigui di una tela che non rappresenterà mai il mondo così com’è. Si chiama “post-moderno”. La capacità di parlar d’altro mettendo in scena una commedia perfettamente calibrata che finge d’essere la meticolosa messa in atto di un sistema rigidamente corporativo.